martedì 10 gennaio 2012

CORPORAZIONI DI TUTTA ITALIA UNITEVI!

IL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE CORPORAZIONI


"Il Consiglio Nazionale delle Corporazioni è nell'economia italiana, quello che lo Stato Maggiore è negli Eserciti: il cervello pensante che prepara e coordina".
BENITO MUSSOLINI


  Attribuita ai Romani quasi come formula magica per conservare il potere, la celebre locuzione latina Divide et impera deve la sua fortuna al fatto che in ogni tempo ci sia un potere da conservare contro chi vi si opponga, siano le province di un vasto Impero, le diverse classi sociali, i partiti politici, i membri di un’associazione e persino i condomini di un fabbricato. Se si limita l’osservazione allo Stato, si nota che la democrazia rappresentativa, per quanto anacronistico e paradossale possa sembrare, si sposa con la “formula”, meglio della dittatura. Il despota non ha bisogno di dividere, gli basta opprimere ed è così cieco da non capire che prima o poi gli oppositori si uniranno contro di lui per abbatterlo.

 Il Divide et impera, tuttavia, non ha una struttura rigida e immediatamente riconoscibile, al contrario, maggiore è la sua elasticità, migliori sono le sue capacità di adattamento a situazioni diverse tra loro. Lo Stato contemporaneo ha necessità di tassare i cittadini oltre la decenza? Non lo farà con tutti e allo stesso modo, perché si troverebbe di fronte le classi sociali unite dallo stesso interesse e con loro i partiti politici che le rappresentano, sempre che questi ultimi non siano diventati l’incarnazione stessa dello Stato, degenerando la forma di governo in partitocrazia e i politici che dovrebbero rappresentare i cittadini si siano trasformati in corporazione.

 Per prima cosa lo Stato colpirà i poveri [termine che non va confuso con quello in uso nei secoli scorsi, perché si tratta di salariati al limite della sopravvivenza e comunque in grado di essere tassati alla fonte del loro modestissimo reddito], non solo e non tanto perché sono il maggior numero [il che pare, ma non lo è, addirittura un paradosso dal punto di vista della “pericolosità sociale”], quanto perché, di là di qualche lamentazione di facciata, non hanno nei media chi possa difenderli con interesse e credibilità. Se il sistema partitocratrico non è perfettamente compiuto, può darsi tuttavia che si levi qualche sterile voce in loro difesa, dentro e fuori le istituzioni parlamentari.

 Il secondo atto consisterà nel colpire il ceto medio con reddito più o meno accertabile alla fonte. Col triplice scopo di a)tacitare i poveri b)proclamare l’equità della manovra c)creare elementi di divisione dal confronto inevitabile che poveri e ceto medio faranno delle rispettive misure restrittive del proprio reddito che sono stati costretti a subire. D’altra parte, chi gestisce il potere sa per esperienza che difficilmente le due classi di cittadini si unirebbero contro lo Stato: da sempre il ceto medio coltiva l’ambizione di farsi ceto medio-alto. Ad ogni buon conto, per evitare tale eventualità, sono già pronte le soluzioni.

 Si comincerà col far finta di perseguire anche i ricchi, termine con il quale si designa oggi non solo il detentore di grandi sostanze, più o meno palesi, ma anche i grandi boiardi, i dirigenti di banche ed enti pubblici e privati, nonché i membri delle corporazioni di arti, mestieri, professioni e della politica che, come dicevo sopra, in una Democrazia degenerata in Partitocrazia, è una vera e propria corporazione. Non la definirei casta, per la demagogia che si cela dietro ogni iperbole e per il palese tentativo di fare apparire quella della politica come l’unica classe privilegiata di cittadini. 

 Insomma, si tratta di prendersela con i privilegiati e con gli evasori fiscali. Non può essere che per finta. E allora si proclamerà di voler tagliare i costi della politica, cominciando dalle retribuzioni di coloro che fanno parte degli organi della rappresentanza. La risposta sarà – statene certi – la rivendicazione della sovranità legislativa, cioè lo sbandieramento della logica corporativa che consente ai parlamentari, ai consiglieri regionali, provinciali, comunali, di tutti i partiti di stabilire essi stessi quanto devono guadagnare. A quel punto lo Stato, rispettoso della democrazia, farà marcia indietro, ma intanto si presenterà all’opinione pubblica come meritevole per aver posto il problema.

 La strategia successiva sarà quella di volgersi contro le altre corporazioni, ma qui viene il bello. Perché ogni corporazione comincerà a scalciare contro l’altra, suggerendo scambievolmente i privilegi che potrebbero essere aboliti. Lo Stato tuttavia ribadirà il fermo proposito di liberalizzare e per saggiare il terreno comincerà dalle corporazioni più deboli, per esempio quella che gestisce i taxi, e/o da una di quelle più forti, per esempio da quella dei farmacisti, per sondare la reazioni alla proposta di ridurre almeno qualcuno dei privilegi più piccoli. Si scatenerà l’inferno da parte di entrambe le corporazioni, mentre tutte le altre messe in stato di allarme si prepareranno all’offensiva, ciascuna per proprio conto. Non tutte insieme, sarebbe un errore politico. Se fossero unite nel rivendicare il proprio status privilegiato, le corporazioni diverrebbero trasparenti e al tempo stesso invise all’opinione pubblica e lo Stato con un’unica norma potrebbe abolirle tutte. Ciascuna corporazione parlerà in difesa di se stessa, rivendicando la legittimità e l’antichità dei propri statuti, la nobiltà la durezza le difficoltà della professione o del mestiere che rappresenta e troverà buoni argomenti per differenziarsi da tutte le altre.

 In base al principio del Divide et impera, lo Stato sembrerebbe aver raggiunto lo scopo. E invece non è così, c’è almeno un caso in cui il principio si volge nel suo contrario: è la divisione a rendere forti le corporazioni, praticamente imbattibili, perché ciascuna potrà contrattare con lo Stato i tempi di una falsa riforma dell’Ordine che lascerà tutto come prima o addirittura peggiorerà le cose. Lo Stato lo sa, perché è esso stesso è fondato sulle corporazioni, a cominciare da quella della politica. Cosa farà a questo punto? Fingerà di trattare e intanto, attraverso propri uomini sguinzagliati nei Talk-show, professerà la saggezza di aver saputo evitare la paralisi del Paese con la mancata circolazione dei taxi e la paralisi del traffico cittadino, con la sospensione delle cause giudiziarie, l’impossibilità di vendere e comprare beni immobili ed eseguire testamenti, con la mancanza dei farmaci per gli ammalati, con il blocco dell’informazione ecc...

 Così, non resterà allo Stato che dedicarsi a liberalizzare il mercato del lavoro, l’unica riforma “liberale” che veramente gli preme e che sostanzialmente si riduce alla possibilità di licenziare, nel pubblico come nel privato. Prima, però, farà mostra di voler colpire gli evasori fiscali inviando gli ispettori del fisco nei luoghi delle vacanze dove tradizionalmente sono soliti adunarsi i ricchi. Per fare che? Qualcuno sostiene che è per accertare chi soggiorna in alberghi di lusso e sfoggia auto da centinaia di migliaia di euro con un reddito dichiarato che spesso non raggiunge neppure i 20.000 euro annui. Qualche altro oppone che si tratta solo di uno spot, per le auto infatti basterebbe consultare il PRA [Pubblico Registro Automobilistico] e le agenzie che noleggiano auto di media e grossa cilindrata con costi mediamente pari o di poco inferiori al reddito dichiarato al fisco da chi noleggia la vettura. Una parte dell’opinione pubblica tuttavia comincia a pensare che lo Stato questa volta sia davvero intenzionato a combattere gli evasori fiscali.

 Quel che importa è che lo scopo sia ormai raggiunto: far credere che il rigore, necessario al risanamento e alla crescita del Paese, si stia applicando con criteri di giustizia e di equità nei confronti di tutti i cittadini, senza eccezione alcuna. Soltanto pochi, infatti, si accorgeranno della differenza tra tasse reali, già introdotte nei confronti delle classi più deboli, e tasse virtuali annunciate contro quelle più forti: corporazioni, ceti privilegiati, evasori fiscali, i cui interessi s’intrecciano spesso tra loro senza soluzione di continuità. Un aiuto in tal senso lo forniranno le televisioni pubbliche e private, moltiplicando ad hoc l’informazione dei telegiornali su un argomento tanto sensibile per l’opinione pubblica.  

 Lo Stato, dal canto suo, non farà che ribadire ancora una volta il concetto di equità e di giustizia sociale che accompagna la propria azione riformatrice e attraverso governanti e affini, proclamerà solennemente che d’ora in avanti si procederà con il “controllo incrociato” che non è, come si potrebbe pensare e sarebbe auspicabile, il riscontro tra le fatture rilasciate da professionisti commercianti e artigiani e le relative detrazioni fiscali dei comuni cittadini, ma semplicemente il confronto tra il reddito dichiarato e le spese effettuate da un soggetto fiscale. Insomma il “redditometro” di antica memoria, già sperimentato in passato con i risultati che tutti conoscono…

 

 Ps. Ogni riferimento, non esplicitamente dichiarato, a cose persone eventi nazionali, è puramente casuale.

  sergio magaldi

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