mercoledì 1 febbraio 2012

CONVIVENZA TRA CRISTIANI E MUSULMANI nel film di Nadine Labaki, E ORA DOVE ANDIAMO?L'eterno conflitto arabo-israeliano.



 Et maintenant, on va où? [E ora dove andiamo ?], film di Nadine Labaki, Francia, Libano, Egitto, Italia, 2011, 110 minuti.

 E ora dove andiamo? È l’interrogativo che alla fine del film gli uomini della comunità cristiano-musulmana di uno sperduto villaggio del Libano rivolgono alle donne. Nel piccolo cimitero, diviso tra un campo cristiano e uno musulmano, posti uno di fronte all’altro, mentre gli uomini sostano nel mezzo recando sulle spalle la bara di un ragazzo ucciso.

 E il film inizia con la bellissima sequenza delle donne che da sole si avvicinano al cimitero per deporre fiori sulle tombe di padri, mariti, figli e fratelli, uccisi dall’odio che, fuori della piccola comunità, si perpetua tra i fedeli delle due religioni, mietendo vite inconsapevoli accecate di fanatismo. Unite dallo stesso dolore e vestite di nero, le donne si distinguono solo per il capo scoperto delle cristiane. Cantano e danzano lievemente battendosi il petto, in tutto simili al coro di una tragedia greca. 

 C’è animo in queste donne che fanno di tutto ad evitare che il vento di guerra che soffia al di fuori si abbatta anche sulla comunità, di cui sono parte integrante e consapevole. E qui la giovane regista sembra quasi divertirsi, anche nell’interpretare la parte di Amale [Nadine Labaki], la vedova cristiana innamorata di Rabih, il muratore musulmano [Julien Farhat ]. È lei al centro di tutti gli espedienti cui le donne del villaggio, aiutate dall’imàm e dal prete, solidali tra loro, ricorrono perché il seme della contesa e dell’odio non si diffonda tra i propri uomini. Compito sapiente con il quale Nadine Labaki, tra dramma e commedia, mostra che solo dalle donne può venire una speranza di pace. E lo fa con le armi dell’iperbole e dell’ironia che finiscono col divertire gli spettatori. Dal sabotaggio dell’unico televisore del villaggio, che reca notizie sui nuovi episodi di sangue tra cristiani e musulmani, alla distruzione dei pochi giornali che arrivano da fuori. Dall'opportunità di ingaggiare, dando fondo ai risparmi, quattro avvenenti ballerine russe [più una quinta che zoppica e che viene data in bonus] per distrarre i maschi dal "giocare" alla guerra, all’idea di far piangere lacrime di sangue alla madonna. 

 Ogni “astuzia” femminile si rivelerà efficace solo momentaneamente. L’uccisione di un ragazzo cristiano del villaggio, fuori della comunità e forse casuale, ma opera di un gruppo di musulmani, farà nuovamente precipitare la situazione. Ma proprio quando si disseppelliscono le armi, ecco intervenire il colpo di scena finale, la “trovata” geniale e salvifica che induce lo spettatore a riflettere sul senso autentico di ogni fede religiosa. 

 Gli uomini, eterni immaturi, non saranno mai capaci di comprendere l’inutilità della guerra. Lo ricordava già Anna Frank nei suoi Racconti dell’alloggio segreto. Questo il messaggio del film che merita di essere visto. Le uniche perplessità che restano, sono: 1) che le donne, purtroppo, non siano tutte come quelle dell’immaginario villaggio del Libano 2) che la guerra, a guardar bene, non sia proprio inutile. È utile, da sempre lo è per le forze occulte e potenti che col pretesto della fede e dell’ideologia spingono l’uomo all’odio e al conflitto, pur di realizzare i propri interessi, per lo più, se non esclusivamente, di natura finanziaria. Ma questa è già un’altra storia.

 Piuttosto, il soggetto del film richiama subito alla mente l’eterno conflitto arabo-israeliano. La situazione, mutatis mutandis, è ancora quella che, nel lontano 1967, in un famoso dossier di circa mille pagine descrisse la rivista Les Temps Modernes di Jean Paul Sartre.  






 Nell’articolo introduttivo che ha per titolo Pour la verité, Sartre chiarisce ai lettori le ragioni del dossier: “[…]Pour que notre public se sente « concerné », il fallait qu’il ait accès aux sources vives, c’est-à-dire qu’on le mette en prise directe sur la violence rigoureuse et passionnée des hommes qui ont créé ce conflit et que le conflit à son tour a créés[…]” [1]

 Poco più avanti, Sartre sottolinea che il dossier non testimonia di un vero dialogo tra arabi e israeliani, ciò che non sarebbe stato possibile perché le parti in causa rifiutano di parlarsi. Ciascun autore, arabo e israeliano, ha esposto le proprie opinioni ai lettori, accettando soltanto che i diversi punti di vista fossero raccolti insieme in un volume. Nient'altro è stato aggiunto dalla redazione della rivista. Ciò non significa - osserva ancora Sartre - essere neutrali. Perché, in questa vicenda, la neutralità non può che venire dall'indifferenza e chiunque osservi veramente - da una parte, la morte lenta dei rifugiati palestinesi, i bambini feriti, denutriti, nati da genitori altrettanto denutriti, con occhi vecchi e incupiti e, dall'altra parte, nei kibbuzim di confine, gli uomini lavorare nei campi sotto una minaccia costante, con i rifugi scavati all'interno delle abitazioni, con i bambini ben nutriti ma con tanta angoscia nel fondo degli occhi - non può restare indifferente e non sentire quasi sulla propria pelle la violenza che si perpetua di fronte a lui.

 Sartre lamentava questa situazione quando erano trascorsi vent'anni dall'origine del conflitto [1947-1967]. Venti anni che a lui sembravano già un'eternità. Oggi, che da allora ne sono trascorsi altri quarantacinque, tutto sembra essere rimasto immutato, persino peggiorato quanto alla cifra della violenza e senza che qualche accenno di dialogo abbia portato grandi frutti.

 Qui, più che altrove, appare evidente che l'odio religioso che s'innesta, insieme a questioni di territorio e tanto altro, tra ebrei e musulmani, è solo uno dei tanti miseri pretesti che i padroni del mondo, quelli che la guerra la decidono e la fanno a tavolino, hanno scelto per perpetuare il conflitto all'infinito.


sergio magaldi
 

[1] Op.cit. p.5:“Perché il nostro pubblico divenisse “consapevole”, bisognava che avesse accesso alle sorgenti vive, cioè che lo si mettesse in contatto diretto con la violenza implacabile e passionale degli uomini che hanno creato questo conflitto e che il conflitto a sua volta ha creato” . 








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