giovedì 4 aprile 2013

LE "RAGIONI" DI NAPOLITANO E QUELLE DI BEPPE GRILLO




 Auspicavo un “quarto” gesto significativo  di Napolitano [vedi post del 21 Marzo 2013: Napolitano e la regia nella commedia dell’arte], un governo del Presidente formato di personalità eccellenti [ma eccellenti davvero] della cultura e dell’economia  e affidato ad un leader scelto tra una rosa di nomi offerta dal M5S e che potesse essere condiviso dal PD e da SEL. Vista l’impraticabilità di un governo Bersani, vista l’impossibilità oggettiva di un monocolore M5S, visto il rifiuto del PD - nel timore di vedere il proprio elettorato assottigliarsi ulteriormente - di un un governo di “larghe intese” con il PDL. 

 Forse ha ragione Travaglio nel criticare i grillini per non aver presentato a Napolitano “la rosa” in questione, che pure sembra fosse stata elaborata dal movimento nella nottata antecedente il secondo incontro della delegazione M5S con il capo dello stato. A quel che se ne sa, Napolitano non ha fatto richieste in tal senso, resta tuttavia l’osservazione di Travaglio che il M5S  “la rosa” avrebbe dovuto presentarla ugualmente, per l’eventuale vantaggio politico che ne sarebbe derivato per il movimento di fronte ad un probabile rifiuto da parte del PD e ad un altrettanto probabile atteggiamento problematico di SEL.

 In tale situazione, Napolitano avrebbe dovuto ugualmente sperimentare “un governo del Presidente”, mandandolo al Senato in cerca di fortuna? Come avrebbe potuto, dopo aver rifiutato a Bersani analoga sperimentazione? Un fatto è certo e un altro è molto probabile, anche se poco significativo. Il fatto certo è che Napolitano preferisca, e direi non a torto e nonostante tutto, per la tranquillità dei mercati e per non aggiungere ulteriori complicazioni ad una situazione di per sé caotica, lasciare in carica per l’ordinaria amministrazione Monti e il suo governo, in luogo di sostituirlo con altri presidenti del consiglio incaricati e dimissionari. E su questo punto credo abbia ragione Grillo rispetto al capogruppo del suo movimento al Senato che ha espresso qualche tardiva perplessità in merito. Il fatto probabile, ma poco significativo, è che Napolitano, prediliga personalmente, per far fronte alla contingenza politica, più un governo di “larghe intese” che le “incaute” aperture di Bersani  e del PD in altre direzioni. Lo dice la sua storia di militante politico, lo ribadisce la scelta dei cosiddetti facilitatori che la stampa ha subito ribattezzato con il nome di “saggi”.

 Ciò premesso, a parte l’ “incidente” di non aver indicato tra i “facilitatori” un paio di donne, una per ciascuna delle due commissioni, non in base alle “quote rosa”, ma semplicemente in virtù del riconoscimento di una competenza femminile anche in materia di riforme costituzionali e di politica economica, che senso ha il malumore trasversale di stampa e professionisti della politica nei confronti della  scelta di Napolitano? Cos’altro avrebbe potuto fare in simili circostanze? Dimettersi? E con quale risultato, se non quello di aggiungere alla mancanza di un presidente del consiglio legittimato dalle Camere, alla mancanza di un capo della polizia, anche quella del capo dello stato? Per anticipare l’elezione del proprio successore al Quirinale – è stato detto – cioè per arrivare prima possibile allo scioglimento delle Camere e a nuove elezioni, volute soprattutto e paradossalmente dal centro-destra [direi giustamente dal suo punto di vista] e dalla sinistra del PD [direi  incautamente sotto ogni punto di vista]. Con quale coraggio una stampa - in gran parte asservita ai partiti dai quali continua ad essere finanziata grazie al denaro dei cittadini - e una classe politica così impresentabile e rissosa può permettersi la critica di una scelta del Presidente, che non è certo risolutiva della crisi, ma che almeno induce a riflettere?

 Altrettanto evidenti, d’altra parte, sono “le ragioni” di Grillo e di Casaleggio, nell’essersi rifiutati di presentare al capo dello stato una rosa di nomi per la presidenza del consiglio. A loro giudizio, anche un governo di personalità cosiddette eccellenti della cultura e dell’economia, poco o nulla potrebbe fare nella totale confusione in cui naviga oggi  la partitocrazia italiana, dopo vent’anni [soltanto?!]di ruberie e di inettitudine a danno dei cittadini, con le scarse risorse rimaste nelle casse dello stato e in presenza dell’impero eurogermanico che controlla rigorosamente le province europee. Il post di questa mattina sul blog di Beppe Grillo è abbastanza eloquente in proposito. Rivolgendosi all’ipotetico elettore di M5S, scontento che il movimento impedisca  la governabilità  del Paese, si elencano 19 motivi in base ai quali [ma ne basta uno solo, si sottolinea nelle conclusioni] autoescludersi per l’avvenire come potenziali elettori del M5S. Intendiamoci, i motivi in elenco contengono tutti, di converso e implicitamente, ragioni forti e, a mio giudizio per lo più giuste, di un’esigenza di cambiamento nel Paese di cui il M5S si fa promotore. Resta il dubbio, pur apprezzando la fermezza intellettuale degli ideologi del movimento, con quali mezzi si voglia realizzare l’obiettivo. Non certo con il voto. È impensabile credere - e infatti è lecito pensare, anche in virtù di questo post, che per primi non lo credano proprio Grillo e Casaleggio - che gli 8 milioni  di voti del M5S siano tutti “duri e puri” e che invece non vi sia stata, come sempre avviene in una competizione elettorale, una pluralità di motivazioni, anche o soprattutto di natura psicologica e sociale ad orientare il consenso elettorale verso “Cinque Stelle”.

 Gli ideologi del movimento sanno benissimo, che il M5S non raggiungerà mai quel 51% di voti che gli servirebbe per governare in solitudine e per questo rischiano di buon grado anche quel 25% di cui dispongono ora. Già, perché prima o poi si tornerà a votare, e i sondaggi [per quanto ne abbiamo già apprezzato l’inaffidabilità, ma il motivo è anche dipeso dal fatto che molti elettori di M5S e di PDL, nella precedente tornata elettorale hanno occultato la loro reale intenzione di voto] parlano già di un PDL in testa con un paio di punti su un PD stazionario, mentre il M5S sarebbe addirittura in calo del 6%. 

 Insomma, mentre si ha sempre più la sensazione che a vincere le prossime elezioni sarà ancora una volta Berlusconi, agitando il fantasma dell’inconcludenza del centro-sinistra e della sua sostanziale incapacità di dare un governo al Paese, mentre la sinistra del PD s’illude di vincere recuperando voti da un M5S  elettoralmente ridimensionato [recupero che ci sarà ma che sarà minore di quello a vantaggio del centro-destra], il movimento di Grillo e Casaleggio non ha preoccupazioni elettorali, non fa calcoli di sorta, perché ha piena coscienza della massima gattopardesca del far finta di cambiare perché tutto resti come prima. D’ora in avanti, ma in fondo è stato sempre così sin dall’inizio - spiacenti per quelli che non lo abbiano ancora capito - il discorso del movimento sarà teso, più che a “raccattare” voti, a illuminare la coscienza degli italiani. Se un “incidente di percorso” ha fatto provvisoriamente del M5S il primo partito politico in Italia, c’è sempre tempo per fare un passo indietro, purché l’illuminazione prosegua incessantemente, e quando gli italiani saranno tutti illuminati, allora il sistema crollerà da solo. Visione forse escatologica della politica, ma sicuramente di più ampio respiro di altre, basate esclusivamente sull’accaparramento di voti e di denaro. Pazienza se a godere del nuovo scenario saranno i nostri nipoti o i pronipoti o i pronipoti dei pronipoti. A differenza dei partiti politici e dei tanti “padri puttanieri” che hanno divorato i propri figli, il movimento avrà lavorato per la posterità. Il mio è un discorso senza ironia, al massimo mi può dar fastidio l’apparente impotenza del presente [che non è tale, se ogni giorno almeno una nuova coscienza s’illumina], ma credo anch’io che, se non si lavora per la rivoluzione delle coscienze, non si costruisca nulla di solido per il futuro.

sergio magaldi

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