venerdì 10 maggio 2013

IL MANOSCRITTO ESOTERICO CUSTODITO IN VATICANO...

JOSE' RODRIGUES DOS SANTOS, VATICANUM-IL MANOSCRITTO ESOTERICO,
 
Newton  Compton  Editori, Roma, 2012, pp.476


 Benché annunciato dal titolo italiano, nel romanzo non c’è alcun manoscritto esoterico. Non a caso il titolo originale in portoghese è O Último Segredo, cioè “L’Ultimo Segreto”. Lo confessa candidamente l’autore, nella “Nota conclusiva”, precisando che tutto quello che viene detto su Gesù Cristo corrisponde a verità  e non è “nuovo”, sebbene sia il risultato dell’applicazione del metodo di analisi storica ai testi biblici. Il risultato è l’emergere di una figura altra e diversa da quella offerta per secoli dal catechismo. Dunque, il vero manoscritto esoterico e il relativo “segreto” sulla figura di Gesù, che la chiesa cattolica nasconde da duemila anni, non è altro che l’interpretazione “corretta” e “scientifica” dei testi del Vecchio e del Nuovo Testamento, che sono sotto gli occhi di tutti.









  L’autore, il giornalista José Rodrigues dos Santos, è volto noto ai telespettatori portoghesi, per essere il direttore del telegiornale del più importante canale pubblico della televisione lusitana. Non a caso, si ha talora l’impressione, leggendo il romanzo, di trovarci di fronte ad una delle tante inchieste televisive alle quali siamo abituati da tempo anche nel nostro Paese: segreti e misteri che una volta svelati, quasi non lasciano traccia. Pure, la vicenda architettata da José Rodrigues dos Santos si lascia seguire con interesse, e lo stile, tra il giornalistico e il didascalico, nulla toglie ad una lettura che si ostina a voler andare avanti pur di scoprire il finale. Un thriller, dunque, che ispirandosi al genere inaugurato da Dan Brown – persino nel riproporre Sicarius, il solito esecutore di delitti, accecato dalla fede, forte oltremisura ma povero di cervello, al servizio di un Maestro insospettabile e potente che detiene la Verità –  si propone tra le righe un intento ambizioso e destinato, più o meno consapevolmente, allo scacco: ricondurre il popolo dei fedeli ad una “fede ragionata” che è una contraddizione in termini, perché si basa sul presupposto che la fede sia altro da quello che è in realtà: una stratificazione di sapere mitico che si tramanda per generazioni e che il nucleo di potere che l’ha generata difende con ogni mezzo, come unica Verità, forte della necessità biologica e psicologica di credere della maggior parte degli esseri umani.

 Il Prologo del romanzo c’introduce nella Sala Consultazioni Manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, dove Patricia Escalona, nota studiosa galiziana, buona amica del prefetto della Biblioteca, ha ottenuto il permesso eccezionale di consultare, nottetempo e in tutta tranquillità, “il celebre Codex Vaticanus”, che non è esattamente un manoscritto esoterico, ma il più antico testo in greco della Bibbia, risalente al IV secolo e contenente la prima versione integrale del Vecchio e del Nuovo Testamento. L’ombra in agguato che il lettore si attende, già dopo qualche riga, arriva puntualmente, dando inizio alla catena di delitti le cui motivazioni saranno rivelate, come in ogni thriller che si rispetti, solo nelle pagine finali.





 Inizia da questo momento il dialogo tra Tómas Noronha, famoso storico portoghese nonché professore dell’Università Nova di Lisbona, e Valentina Ferro, avvenente ispettrice italiana di polizia giudiziaria. Il primo, dotato della capacità laica di reinterpretare i versetti evangelici alla luce del già citato metodo di analisi storica. La seconda, animata di una fede che non ammette dubbi e che tuttavia, sotto l’incalzare argomentativo dello studioso, comincerà a dare presto qualche segno di cedimento. Devo dire che questa parte del romanzo, ancorché risulti eccessivamente didascalica e costruita attraverso un dialogo di maniera, può anche risultare interessante per chi conosca i testi della tradizione religiosa dell’Occidente. Lo sarà un po’ meno per tutti gli altri, che, tuttavia, troveranno modo per restare vigili, in virtù del linguaggio semplice dell’autore, della sua capacità di accelerare all’improvviso il ritmo della narrazione, e per via del sospetto che tra Tómas e Valentina possa nascere una bella storia d’amore. 

 Un esempio di come proceda il dialogo tra i due, è subito introdotto dal versetto 17:15 del Vangelo di Giovanni, contenuto nel Codex Vaticanus. Il passo - è Gesù a parlare rivolgendosi a Dio - per un errore del copista recita in italiano: “Non chiedo che tu li liberi dal male”. L’argomentazione procede nella pagina 67 del romanzo dell’edizione italiana che di seguito riporto per intero:







 Il fatto è – continua Tómas sullo stesso registro – che di errori, negli oltre cinquemila manoscritti antichi della Bibbia, ce ne sono più di quattrocentomila. E non basta, accanto agli errori di trascrizione, ci sono errori generati volontariamente e/o causati da traduzioni improprie, tra ebraico aramaico e greco. Con il risultato che interi episodi narrati nei Vangeli risultano falsi o falsati, come Tómas cercherà di dimostrare, per esempio, a proposito della storia dell’adultera  e di quella della resurrezione.

 L’abilità argomentativa dello storico portoghese – alias José Rodriguez dos Santos – benché si basi sui testi della tradizione religiosa, di cui pure mostra una certa conoscenza, troppo risente di “taglio giornalistico”, di scoop per il lettore frettoloso o distratto dalle tante incombenze. Tuttavia, la tesi di un Gesù vicino alla tradizione ebraica, più di quanto non lo siano i cristiani, appare abbastanza convincente. Peccato che l’autore trasformi questa appartenenza in ortodossia zelante, finendo col perdere di vista quel che di rivoluzionario e di unico resta in Gesù, anche nel riconnetterlo giustamente alla sua matrice ebraica.

 La storia continua con Tómas e Valentina a Gerusalemme per trovare la chiave del mistero dei tanti delitti. L’epilogo si svolge all’interno della Fondazione Arkan, dove si lavora alla realizzazione di un grande progetto per la pace universale, sotto la guida di un personaggio potente e quantomeno sospetto. E qui si riaffaccia purtroppo la vena didascalica dell’autore con il serrato confronto dialettico – che questa volta ha per tema la biotecnologia e le numerose disquisizioni su DNA e clonazioni – tra Arnie Grossman, ispettore capo della polizia israeliana, Tómas, Valentina, Arpad Arkan, capo della Fondazione, e il professor Hammans. Si giunge così, dopo aver appreso che i sicarii rappresentavano all’epoca di Gesù Cristo l’ala estrema e più violenta degli zeloti e che la P2 potrebbe entrare di diritto nella vicenda, ad un finale non privo di effetto e di consumata teatralità. Resta la disillusione per un amore non corrisposto o tradito, resta il dubbio che l’autore non sappia o non voglia trarre tutte le conclusioni delle sue “spericolate” premesse:

 “Aveva senso aver fede in Cristo conoscendo già la vera storia di Gesù e della trasformazione dei suoi insegnamenti ebraici in qualcosa di completamente diverso? […] Erano la ricerca, la scienza e la conoscenza che riportavano alla fede, non la repressione dei dubbi, l’ignoranza e i dogmi. La fede non poteva essere cieca: doveva essere informata. Nessuna verità poteva essere indiscutibile. Le persone che credevano senza sufficienti informazioni […] non erano che sempliciotti, sprovveduti e superstiziosi, disposti ad abboccare alla prima stupidaggine che veniva raccontata loro. La fede era valida solo se si basava sul sapere”. [p.462].


 In conclusione, un romanzo che si può leggere tranquillamente sulla spiaggia delle prossime vacanze estive e che per qualcuno può anche rappresentare la tentazione di rivisitare le pagine non sempre approfondite del Vecchio e del Nuovo Testamento.

sergio magaldi

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