mercoledì 5 giugno 2013

TRENO DI NOTTE PER LISBONA

Treno di notte per Lisbona, film di Bille August, Svizzera, Portogallo, Germania, 2013, 111 minuti

  Un anziano professore di Berna sottrae al suicidio una giovane donna, mentre sta per gettarsi da un ponte. La conduce con sé a lezione, ma la ragazza fugge via, dimenticando un giubbetto rosso e un libretto nel cui interno è custodito un biglietto del treno per Lisbona. Il professore si precipita in stazione, ma della ragazza nessuna traccia, mentre il treno per la città lusitana è in procinto di partire. All’ultimo momento, il professore balza sul treno e, manco a dirlo, si mette a leggere “Un orafo delle parole” di tale Amadeu de Almeida Prado, il libretto in portoghese dimenticato dalla ragazza.

 Questo più o meno il “prologo” del film che il regista danese Bille August trae dal romanzo di Pascal Mercier [pseudonimo dello scrittore svizzero Peter Bieri]. Raimund Gregorius è il nome del professore interpretato da Jeremy Irons, l’anziano attore dotato di “fascino polveroso”, come sottolinea Natalia Aspesi su Repubblica. Lui è il protagonista del film ed è sempre lui che si lascia incantare dalle riflessioni contenute nel libretto, anche perché lo spettatore ci riesce meno. Così, il professore, giunto nella bellissima Lisbona, quasi dimentico di cercare la misteriosa ragazza alla quale ha salvato la vita – nell’eco delle parole “preziose” contenute nel famoso libretto – si mette sulle tracce di Amadeu de Almeida Prado, sino a portare alla luce un episodio della resistenza portoghese contro il fascismo.




  Siamo negli anni che precedono La rivoluzione dei garofani, sotto la dittatura di Salazar e l’azione della famigerata PIDE [Pólicia Internacional e de Defesa do Estato], il regime che proseguirà anche dopo la morte del dittatore, con il governo di Marcelo Caetano, sino al 25 Aprile del 1974, quando l’ala progressista dei militari proclamerà la liberazione senza spargimento di sangue e la radio portoghese, alla mezzanotte dello stesso giorno, farà risuonare le note di Grândola vila morena del cantore antifascista Josè “Zeca” Alfonso. Ripropongo il brano di seguito ma, per voluto paradosso, nella versione di Amália Rodrigues, regina incontrastata del fado portoghese durante la dittatura, costretta all’esilio dopo “La rivoluzione dei garofani” perché ritenuta simbolo [incolpevole] del regime di Salazar, più tardi riabilitata sino alla proclamazione di tre giorni di lutto nazionale in occasione della morte, avvenuta nel 1999. Artista di inimitabile bravura, Amália Rodrigues, sia quando canta Uma casa portuguesa, in pieno regime fascista, sia quando ripropone Grândola vila morena, simbolo canoro dell’unica rivoluzione della storia avvenuta senza violenza.

 Nell’affannosa ricerca di Amadeu [Jack Huston],il professore scopre ben presto che l’autore del libretto faceva parte di una cellula antifascista, insieme ad altri intellettuali, tra i quali erano anche il suo grande amico Jorge [August Diehl] e la bella Estefania [Mélanie Laurent]. Ma proprio quando l’azione sembra farsi più interessante, viene da chiedersi se il film, così come del resto il libro, si proponga di narrare la resistenza portoghese al fascismo o se questa sia solo un pretesto per raccontare una storia d’amore. La seconda ipotesi sembra la più convincente, perché, ad un certo punto, nel film non si parla più di lotta antifascista, ma di un amore “proibito” che si consuma rapidamente, senza che il pubblico ne risulti coinvolto emotivamente.

 La “grande” passione per l’uomo che Estefania ha voluto con tutta se stessa, si spegnerà incredibilmente nelle parole pronunciate da lei per liberarsene: Non posso darti quello che vuoi perché il tuo è un viaggio dell’anima che non è la mia… e altre sublimi banalità dette naturalmente proprio nel momento in cui l’uomo è più innamorato di lei. Affermazioni solenni che significano soltanto che la donna che lo ha tanto cercato e infine ha vinto le comprensibili resistenze di lui, non lo ama più o non l’ha mai amato veramente e che lui è stato solo un capriccio nella sua vita.

 “Polpettonissimo” come lo giudica Natalia Aspesi o film che parte bene, ma che poi “si trasforma in una fiction anacronistica infarcita di fastidiose riflessioni ad alta voce”, come scrive Maurizio Acerbi su Il Giornale? Forse né l’uno né l’altro. Il vero problema è che una storia che appare intrigante e che avrebbe tutti gli ingredienti per esserlo, finisce col restare incompiuta come momento di civile passione e ancor più come racconto di un amore impossibile. Entrambe le vicende sono servite “fredde” ad uno spettatore che, date le premesse, si sarebbe aspettato molto di più. 

sergio magaldi        
  


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