venerdì 27 settembre 2013

IL BELPAESE DISMESSO




  Mentre il governo delle larghe insolvenze del neodemocristiano Letta cerca attraverso le dismissioni pubbliche di racimolare qualche spicciolo [che, al solito, sarà tolto dalla tasca degli italiani e non da qualche taglio sugli sprechi] per compiacere i padroni tedeschi e i loro mandanti, per evitare le dimissioni di Saccomanni, l’uomo di fiducia di Draghi e del Quirinale, e per sopravvivere a se stesso, evitando, ma solo per qualche mese, di ripristinare l’ IMU sulla prima casa e di aumentare l’IVA, l’Italia dell’imprenditoria e dei banchieri, dei manager pubblici e privati, non è da meno di quella dei politici.





  Il Belpaese dismette definitivamente Telecom Italia a vantaggio della Telefónica spagnola e si accinge a vendere quel che resta di Alitalia a Air France, con ciò bandendo per sempre dalla penisola il Mercurio alato, simbolo della comunicazione in rete e nello spazio. E c’è già chi dice che la Pirelli dell’ineffabile Marco Tronchetti Provera potrebbe nel breve tempo subire la stessa sorte o quasi, mentre Bulgari, Parmalat, Valentino, Gucci e tante altre prestigiose aziende italiane risultano già dismesse o in procinto di esserlo e la Fiat diventa sempre più americana, anche perché gli italiani non comprano più Fiat, Lancia e Alfa Romeo ma auto tedesche, francesi, giapponesi e nordcoreane. E, come sempre, il buon esempio è fornito dalla folta schiera delle auto di rappresentanza, in prevalenza tedesche, di ministri, viceministri, parlamentari e autorità varie.

 Sul fronte dell’acciaio, c’è poi il sacrosanto decreto della Magistratura che ha portato al commissariamento dell’Ilva di Taranto, per inquinamento ambientale, e che ha determinato – per mancanza di liquidità, sostiene la proprietà – la successiva chiusura di 10 [o 13, come scrive qualcuno] stabilimenti dello stesso Gruppo. Il governo sembrerebbe accingersi su pressione dei sindacati e di 1400 lavoratori licenziati, a risolvere da par suo la delicata questione di Riva Acciaio, con un decreto, non si sa bene quanto legittimo [vedi il post Terzo Potere ], che servirà a commissariare dopo l’Ilva, anche gli stabilimenti del nord.





  Insomma tutti i nodi della politica e dell’economia, stanno venendo a galla, mostrando una classe dirigente sempre più sollecita del bene comune, perseguito attraverso i tanti privilegi corporativi, la corruzione, il finanziamento della politica, l’inquinamento ambientale, i falsi in bilancio, l’evasione fiscale, i superstipendi, le superliquidazioni e le superpensioni di manager pubblici e privati responsabili del fallimento di enti, banche e imprese, e ancora attraverso i lucrosi dividendi dei grandi azionisti che, a spese dei piccoli risparmiatori, prima spolpano bene le aziende e poi le gettano via, abbandonandole al loro destino nelle mani di gruppi finanziari europei e internazionali che per una manciata di euro o di dollari ne rilevano il marchio. Gli stessi manager che costringono il denaro pubblico, cioè le tasse dei contribuenti, a confluire nelle casseforti delle banche, svuotate da speculazioni sbagliate e/o dalla connivenza con la politica.







 In questo quadro e con questa classe dirigente c’è ancora qualcuno disposto a sostenere che i mali dell’Italia dipendano tutti dalla Merkel e dalla Germania e che si risolverebbero d’incanto con la nascita dell’Europa politica, l’emissione degli eurobond, la moneta sovrana e l’aumento del debito pubblico? Certo, ai tedeschi conviene lasciare l’Italia e il sud europeo nel rigore, nella recessione e nella decrescita economica, ma l’idea che la rinascita italiana si leghi all’avvento dell’Europa politica non è forse un’utopia che fa il paio  con  la predica del rigore che, via Berlino, Francoforte, Bruxelles e i poteri forti che ne ispirano la politica, promette il risanamento economico e lo sviluppo?

 Si dice giustamente che senza che si aprano i cordoni della borsa, senza lo sforamento del 3% del rapporto PIL - debito pubblico, non c’è possibilità di crescita per il nostro Paese, avviato ormai, come certifica un rapporto compilato in questi giorni a Bruxelles, ad una progressiva deindustrializzazione e alla cronica stagnazione economica. Non si dice invece cosa farebbero i governi italiani con più denaro a disposizione, non importa come reperito - se per l’avvento dell’Europa politica e tutto il resto, o semplicemente in virtù del consenso tedesco a sforare il famoso 3% -. Non si dice, perché s’intuisce bene dove i soldi così disponibili andrebbero a finire. Manca infatti un qualsiasi piano produttivo di rilancio dell’economia da parte di questo vergognoso ceto politico e imprenditoriale e, se ci fosse, non sarebbe credibile, modellato sugli esempi del passato, con una burocrazia e un’amministrazione ferma nel tempo, un sistema giustizia per il quale l’Europa ha aperto un procedimento di infrazione che potrebbe terminare con pesanti sanzioni economiche, un Paese le cui infrastrutture non si rinnovano da quarant’anni e in cui le organizzazioni malavitose la fanno da padrone.   


 I tedeschi sanno benissimo tutto questo e se ne fanno un alibi per pretendere il rigore dall’Italia, forse più che dagli altri paesi europei [la Francia ha già superato il 4% del rapporto PIL - debito pubblico, la Spagna il 6%]. D’altronde, storicamente, La Germania ha sempre avuto un debole per l’Italia ed è ben contenta di poterla avere finalmente in una sorta di amministrazione fiduciaria. Intanto il clima nel nostro Paese è sempre più quello del “prendi e scappa”, con i politici intenti ad arraffare quanto più è possibile, mantenendo scorte di difesa personale che per numero sono ormai dei veri e propri piccoli eserciti; con il 10% di cittadini che detiene gran parte della ricchezza privata; con i capitali che fuggono all’estero mentre sul territorio nazionale è aperto il mercato per la svendita a tutti gli stranieri di buona volontà di ciò che ancora resta del Belpaese.

 Questa analisi sembra improntata al pessimismo, e invece è appena una traccia superficiale della crisi profonda e irreversibile che attanaglia la penisola. Cosa resta da fare alla maggioranza degli italiani? Intanto cacciare per via democratica, con l’arma del voto, questa nefasta e corrotta classe politica, assieme alla corte dei falsi manager e banchieri di carta con cui per anni ha diviso la torta, poi sperare… Sperare che si affermi una nuova classe politica e imprenditoriale.

 Per il momento, tuttavia, ci si può solo consolare con il privilegio di avere nella città eterna, ben due papi che, per la prima volta nella Storia, discutono con illustri [si fa per dire…] privati, a mezzo stampa, di ateismo, fede e massimi sistemi.   


sergio magaldi

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