mercoledì 20 novembre 2013

QUESTIONE DI TEMPO

Richard Curtis, Questione di Tempo, 123 minuti, USA, 2013




   Persino ovvio ricordare che il tempo è il metronomo della realtà e che il tentativo di isolarlo, per poterlo manipolare anche per un istante infinitesimale, è fantasia di poeti, la magia impossibile del Faust di Ghoete [… Fermati, attimo, sei bello!...]. Eppure, come già osservava Jean Paul Sartre in L’imaginaire, si danno almeno due modalità in cui il tempo non si identifica necessariamente con il reale: il tempo della dimensione onirica e quello dell’immaginazione.








 Lo spazio e il tempo del sogno e dell’immagine, infatti, ubbidiscono a leggi che nulla hanno a che vedere con quelle della comune percezione. Direi non a caso, perché Immanuel Kant sta lì a ricordarci che spazio e tempo non sono entità metafisiche ma forme pure a priori della nostra esperienza e della nostra sensibilità. Se, tuttavia, nulla o poco possiamo fare per influire sul tempo di un sogno [benché ci sia chi conceda al sognatore esperto questa possibilità], nell’immaginazione possiamo intervenire, viaggiando a piacimento tra le ekstasi temporali di passato, presente e futuro, e provando ad immaginare per noi stessi un destino diverso da quello posto in essere dalle scelte passate.

 Sören Kierkegaard, il padre dell’esistenzialismo, ha parlato di angoscia legata alla scelta. Perché, nel momento in cui scegliamo, escludiamo per ciò stesso ogni altra possibile realtà, ma ciò a cui deliberatamente voltiamo le spalle [un’opportunità mancata, un amore sacrificato, la buona azione non fatta ecc…], può reclamare il proprio diritto di esistere come possibilità non realizzata e rimpianta.






 Il cinema, che per definizione è arte dell’immagine, ha più volte tentato questa strada, mostrando come il tempo sia la via maestra per comprendere il nostro destino. Non si vuole dire, con ciò, che About Time [proposto in questi giorni sugli schermi italiani con il titolo poco appropriato di Questione di tempo], il film del regista e sceneggiatore inglese Richard Curtis, si proponga come un déjà vu o manchi di originalità. Innanzi tutto perché qui, più che “manipolare” il tempo, si tratta di “emendarlo” delle scelte precipitose o poco consapevoli che hanno generato gli eventi negativi. Poi, perché questo “aggiustamento” si limita al passato individuale più o meno recente, non riguarda il futuro - proprio perché il futuro è il frutto delle scelte passate - e non è ottenuto, per così dire, grazie all’azione di una bacchetta magica ma con le regole della prudenza, intesa come la virtù dianoetica del discernimento, e della bontà, vista come Pietas dei Romani o Yetzer tov [inclinazione buona] degli Ebrei.

 Questione di tempo è una piacevole commedia montata su tre registri: c’è l’amore che naturalmente per essere tale deve essere romantico, esattamente come nel film di Curtis di dieci anni fa: Love actually [“L’amore davvero”]: dieci storie d’amore di cui la più romantica e originale è quella che unisce uno scrittore ad un’umile ragazza portoghese molto più giovane di lui.

 La storia d’amore tra Tim [Domhnall Gleeson] e Mary [Rachel McAdams] introduce al secondo registro della narrazione che è appunto la questione del tempo: Tim viene messo a parte da suo padre [un inappuntabile Bill Nighy] di un segreto: il dono che i maschi della famiglia hanno, attraverso un rituale peraltro molto sbrigativo, di tornare su un evento del proprio passato per poterlo modificare. D'altra parte, se il dono fosse appartenuto anche alle femmine, Curtis avrebbe dovuto cancellare un pezzo non poco significativo della sua storia!

 Il generoso intervento di Tim a favore di Harry - il commediografo amico dei suoi genitori [Tom Hollander] - per evitargli il flop di una pièce causato dal blocco mentale di un attore, fa svanire la conoscenza della ragazza che Tim ritiene essere l’amore della sua vita: il giovane, infatti, non può trovarsi contemporaneamente a teatro, dove s’è prodotto il “guasto da emendare”, e nel luogo [peraltro alquanto particolare e sul cui significato molto ci sarebbe da dire] in cui ha conosciuto Mary.

 L’ironia, spesso presente nei film di Richard Curtis [inventore del personaggio di Mister Bean o regista di film come Quattro matrimoni e un funerale], si avverte meno in Questione di tempo, allorché per esempio si sente risuonare la celebre canzone di Jimmy Fontana: Il mondo. Non solo perché il cantante è scomparso di recente, ma soprattutto perché lo spettatore si è forse già avventurato nei ricordi personali e per un istante si è illuso di poter tornare sul proprio passato, magari per modificare le vicende di un amore sfortunato e ancora rimpianto. Le parole della canzone di Jimmy Fontana: “ …Nel tuo silenzio io mi perdo e sono niente accanto a te. Il mondo non si è fermato mai un momento…” , gli lasciano poche speranze e non certo la voglia di sorridere.







 Il terzo registro è utilizzato da Richard Curtis per l’ultima parte del film che è anche la più debole e la meno interessante. Il tempo e l’amore non sono più visti nella prospettiva di una vita vissuta all’insegna della bellezza, della fantasia e della continua scoperta di se stessi, ma nella consolatoria accettazione della normalità borghese, in cui diventa facile rinunciare ad un amore o sacrificare il dono ricevuto di intervenire sul tempo, in cambio della facoltà concessa a tutti di poter riguardare ogni giorno, anche quello più triste o pesante, con l’occhio dell’innamorato della vita in quanto tale.

 Nell’insieme, una commedia ben riuscita e un film da non perdere.


sergio magaldi





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