sabato 5 aprile 2014

LEI... la donna che non ti aspetti...

Lei [Her], regia e sceneggiatura di Spike Jonze, USA, Dicembre 2013, 126 minuti



  Lei [Her] è un film intrigante e bellissimo, con il quale Spike Jonze, che l’ha scritto e diretto, ha vinto di recente l’Oscar per la migliore sceneggiatura. 

 Il lavoro, già candidato ad altri quattro Oscar, per tutti i 126 minuti della sua durata, nonostante sia quasi privo di azione e di una trama vera e propria, mantiene un ritmo elevato che non annoia se non lo spettatore prevenuto, quello che probabilmente non andrà mai a vederlo, perché dichiara di non comprendere come ci si possa innamorare di una voce. Frutto, questo pregiudizio, di un messaggio errato, avvalorato dai media, anche in virtù dei suoni che provengono dalle labbra di Scarlett Johansson, chiamata a interpretare Samantha, il sistema operativo informatico OS.1 che allieterà le giornate di Theodore [un grande Joaquin Phoenix, sul set per lunghi tratti praticamente da solo]. 

 La verità è che la versione italiana, anche dopo aver visto e ascoltato l’originale, si mostra ugualmente efficace e la voce di Micaela Ramazzotti, che doppia Samantha-Scarlett, persino più adatta a trasmettere il messaggio contenuto nel film. La voce di Micaela è meno sexy di quella di Scarlett, ma di sicuro più calda e comunicativa.








 Theodore lavora in un’agenzia di Los Angeles, dove i dipendenti si dedicano alla scrittura di lettere personali, che per lo più parlano d’amore. Nello scrivere, l’uomo mostra, peraltro riconosciuta dai colleghi e dal vasto pubblico dei fruitori dei messaggi, un’abilità non comune e una fervida fantasia. La realtà è però un’altra. Egli soffre disperatamente per essere stato lasciato da Catherine [Patricia Rooney Mara], la moglie di cui spesso rievoca i momenti felici vissuti insieme e il coinvolgimento erotico.

 Theodore si muove in uno spazio denso di grattacieli, su cui la regia indugia con efficacia e con l’aiuto di una musica gradevole [ottime la fotografia e la colonna sonora del film]. La macchina da presa riguarda i colossi di vetro, ferro e cemento da gigantesche vetrate e li coglie tagliare il cielo nella luce naturale del giorno o spezzare l’oscurità, nel bagliore artificiale e suggestivo della notte. Thedore cammina tra gente anonima, in un paesaggio rarefatto  che è il presente e già il futuro dell’umanità, ma la sua non è la solitudine che piomba addosso senza che uno se ne avveda, bensì una scelta esistenziale, la consapevole insignificanza di tutto ciò che lo circonda.









 Da quando Catherine l’ha lasciato, Theodore non crede più nell’amore e senza essere amato sembra non sentirsi più giustificato ad esistere, come direbbe Jean Paul Sartre. L’unico rapporto significativo è quello che intrattiene con Amy [Amy Adams], una carissima amica anche lei in crisi nel matrimonio. Il bisogno di assoluto di Theodore sopravvive nelle parole che egli scrive per gli altri, nella gioia degli amanti che aiuta a ritrovarsi, nelle emozioni che presta volentieri al suo pubblico. Sinché non decide a sua volta di darsi ancora un’ illusione, con l’acquisto di una intelligenza artificiale, per la quale dichiara al programmatore di voler scegliere una voce di donna.








 Samantha entra così nella sua vita. È un computer che non solo parla ma che è informato su tutto, che è in grado di dare consigli e di mettere ordine nella sua esistenza. Non è un robot e neanche un automa, perché è capace di accumulare esperienza e di evolvere proprio come un essere umano. Presto si innamorerà di Theodore e lui di lei, ma sarà proprio questo a complicare le cose, perché Samantha diventa gelosa di Catherine e soprattutto perché soffre di non avere carne con cui dare piacere al suo amante. La donna virtuale però non si perde d’animo ed escogita l’idea di trovare un corpo femminile che, tramite un sofisticato sistema di video e ricettori, sia in grado, mantenendo la voce di Samantha, di dare a Theodore la simulazione di un amplesso con lei. Molte ragazze si propongono per l’esperimento, finché la scelta di Samantha ricade su Isabella [Portia Doubleday]. Sarà un flop, perché mentre la ragazza offre all’uomo, già nuda e con la voce di Samantha le sue splendide forme, sarà proprio Theodore a tirarsi indietro.

 Ecco smentita l’idea che il film tratti di come ci si possa innamorare di una voce e/o che l’amore virtuale sia il segno del nostro tempo, rappresentando una sorta di scorciatoia per uscire dal deserto della solitudine. Il bisogno di assoluto di Theodore chiede verità, non finzione. Il possesso di un corpo, del resto, se non è legato alla totalità della persona amata, diventa un espediente che manda in frantumi l’autenticità del sentimento. Tra le perplessità e la delusione di Samantha, Theodore sa che il suo sogno di assoluto è più facilmente raggiungibile mediante la complicità e la comunicazione spontanea, piuttosto che attraverso un simulacro. Non a caso, da quando si è innamorato di Samantha, egli ha smesso di amare Catherine. Il rapporto con la donna virtuale gli è divenuto essenziale e non vuole rischiare di perderlo per soddisfare un’esigenza ancora troppo umana.

 Quella di Theodore è la ricerca dell’assoluto e del superamento dell’umano, ma chi può garantirgli che un’intelligenza artificiale in continua evoluzione, si comporti meglio di una creatura di carne e sangue e che, magari, proprio quando il rapporto raggiungerà per lui il massimo dell’intensità, lei, non scomparirà improvvisamente come Catherine, come una qualsiasi donna reale?

sergio magaldi  



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