martedì 13 maggio 2014

GRAND BUDAPEST HOTEL

The Grand Budapest Hotel, regia di Wes Anderson, Stati Uniti-Germania, 2014, 100 minuti


 Un film per chi ama il cinema e ne apprezza le infinite possibilità del linguaggio. Vincitore dell’Orso d’argento nell’ultimo Festival del Cinema di Berlino, il lavoro si caratterizza per la bella fotografia [Robert D.Yeoman] e per la scenografia [Stephan O.Gessler] forse ancora più bella, ma sono la regia e la sceneggiatura di Wes Anderson a guidarci per mano dentro e fuori del Grand Budapest Hotel. Senza un attimo di sosta, tra battute cariche di humor, considerazioni sulla natura umana e riflessioni di carattere storico che nulla concedono all’intellettualismo, tra effetti speciali realizzati con efficacia dall’azienda Look effect, per un cromatismo delle immagini, in cui predomina il rosa nelle sue tante sfumature. Un film capace di legare insieme sapientemente generi diversi: l’avventura, il fumetto, il giallo, il noir, il grottesco, l’eros, la favola, la commedia e il feuilleton, in una performance di grandi attori tra cui spiccano per eccellenza Ralph Fiennes, nel ruolo di Monsieur Gustave, l’impeccabile concierge dell’hotel che non disdegna la compagnia di attempate e ricche clienti, nonché Tony Revolori, nella parte del giovanissimo immigrato Zero Moustafa, lobby boy dell’albergo al servizio esclusivo di Gustave.

 L’azione si svolge in tre distinte fasi della Mitteleuropa del XX secolo, nello stato immaginario di Zubrovska e ha come location prevalente l’altrettanto immaginario Grand Budapest Hotel, oltre al paesaggio alpino innevato e al suntuoso palazzo di Madame D. [Tilda Swinton], la ricca vedova che affiderà a Monsieur Gustave “Il ragazzo con mela”, un dipinto rinascimentale di grande bellezza e, a quanto pare, di inestimabile valore … E sarà proprio il quadro contestato a fornire lo spunto per l’intera vicenda.

 Il passaggio dall’una all’altra epoca avviene come per le scatole cinesi o le matrioske russe. Si comincia dal 1985, con la scena di una ragazza che rende omaggio alla statua dell’autore del romanzo Grand Budapest Hotel, appendendo al monumento una chiave tra le molte che vi sono appese per analogo omaggio. Poi, la ragazza si siede sulla panchina di fronte alla statua e inizia a leggere il libro che racconta la vera storia dell’albergo, ormai caduto in rovina. Si continua con il 1968 quando l’autore del libro [interpretato prima da Jude Law e poi da Tom Wilkinson], tornando al Grand Hotel Budapest s’imbatte nell’ormai anziano Zero Moustafa [F. Murray Abraham] che lo invita a cena e gli racconta i fatti avvenuti nel 1932, nell’epoca in cui l’albergo godeva del suo massimo splendore.


Grand Hotel di Pontresina


   La fantasia di Wes Anderson non è gratuita, perché se è vero che non ci sono né l’autore né il romanzo in questione, è però esistito uno scrittore ebreo viennese, pacifista e umanista per vocazione, che ebbe grande successo all’inizio del Novecento e i cui libri furono bruciati dai nazisti nel 1933 [A proposito del rogo dei libri nella Germania nazista, vedi in questo blog il post recente: Una ladra di libri ai tempi di Hitler e clicca sul titolo per leggere]. Si tratta  di Stefan Zweig da cui il regista texano ha tratto l’idea centrale del film e al quale ha voluto rendere omaggio. Zweig, infatti, ambienta il suo ultimo romanzo, “Estasi di libertà” [Rausch der Verwandlung], pubblicato postumo, in un lussuoso ed eccentrico hotel di Pontresina, in Svizzera, dove, così come nel Grand Budapest Hotel dell’immaginaria repubblica di Zubrovska, si dà convegno, come sempre, nel lusso e nei piaceri, l’èlite della vecchia Europa, incurante della miseria del popolo, l’unico a pagare per le follie della Prima Guerra Mondiale.


L'edizione italiana del libro del 1926










                  
L'edizione italiana del libro del 2012




















 Film impeccabile questo di Anderson, perché si prende cura dei particolari in ogni dettaglio e quando cede all’iperbole, lo fa ricorrendo al look che il cinema dei vampiri e similia hanno reso così popolare ai nostri giorni. Basti osservare i familiari di Madame D. e chi lavora per loro, il famigerato Jopling [Willem Defoe]. Un gioco e una celia, ma anche una rappresentazione del grottesco in cui può precipitare la condizione umana. Quasi un’anticipazione della barbarie in cui di lì a poco cadrà la vecchia Europa, ben peggiore di quella in cui precipitò durante il primo conflitto mondiale. 


sergio magaldi





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