mercoledì 23 luglio 2014

IL GIOCO GRANDE DEL POTERE




  La giornalista Sandra Bonsanti, sulla base della propria esperienza professionale e delle molte interviste raccolte nel corso degli anni, racconta l’Italia degli ultimi cinquant’anni, dilaniata da lotte intestine per l’accaparramento del denaro e l’esercizio del potere. Lo fa con una chiave universale che le permette di entrare nelle stanze segrete del potere per mostrare “di che lacrime grondi e di che sangue” il Belpaese e perché.

 L’aspetto più sconcertante della ricostruzione storica fatta dall’attuale presidente dell’associazione Libertà e Giustizia è innanzi tutto nella divisione manichea tra agenti del bene e agenti del male, individuati tra i membri della classe politica che governò il Paese. Emerge così, chi da una parte lavorò in difesa della Repubblica, dall’altra coloro che  si mossero tra Stato e Antistato, spesso a contatto con organizzazioni malavitose, centrali lobbistiche, servizi segreti ed eversione di destra e di sinistra.

 Altro che “casta della politica”, corrotta e privilegiata, superficiale e inconcludente, altro che  oscillazioni tra Stato e Antistato! Il quadro che emerge dalle analisi della Bonsanti è quello di un gruppo dirigente – con l’eccezione di quanti vengono citati per nome e cognome e che Gustavo Zagrebelsky ricapitola nella Postfazione del libro [p.237] – che fa del crimine un “instrumentum regni”, senza naturalmente mai apparire in prima persona, lasciando sul campo solo voci incontrollate ad uso delle chiacchiere da salotto.

 Coerenza avrebbe voluto che la Bonsanti, oltre a raccontare e a “lasciare intendere”, avesse tratto delle conclusioni, senza servirsi della nebulosa metafora di “Stato e Antistato”, per descrivere la gestione del potere da parte di chi – secondo la sua ricostruzione dei fatti – più che servire la Repubblica, pensava unicamente e con ogni mezzo a servire se stesso e le lobby di cui era parte.   

 Come interpretare altrimenti affermazioni di questo tenore? “Santillo era un onesto e fedele servitore dello Stato. I suoi rapporti però furono ignorati […]. La struttura di Santillo  fu silurata alla vigilia del sequestro Moro per iniziativa del ministro dell’Interno Francesco Cossiga” [pp.33-34], il quale Cossiga sostituì il nucleo antiterrorismo di Emilio Santillo, con il comitato di crisi formato di autorevoli rappresentanti delle più alte cariche dello stato, che la commissione di Tina Anselmi rivelò più tardi essere per la maggior parte iscritti alla P2 [p.69], e ancora: “Andreotti era lo Stato e l’Antistato, Gelli era il potere occulto, Carmelo Spagnuolo era la giustizia compromessa e la vecchia mafia. Santillo era un bravo poliziotto e un servitore onesto” [p.37].

 Del resto, sin dai primi tempi della sua attività di giornalista, recandosi in Sicilia, la Bonsanti si era fatta un’idea di come funzionasse l’Italia: “Mi era parso di capire che lo Stato, la nostra Repubblica, fosse nelle mani di un gruppo di mafiosi che contendevano ad altri mafiosi l’amicizia e la protezione di Fanfani e di Andreotti, che il secondo stesse scalzando il primo (Salvo Lima aveva abbandonato il proconsole fanfaniano Giovanni Gioia già nel 1968) e che attorno a questo duello, che materialmente si combatteva in Sicilia a colpi di tessere di partito, affari, traffici di droga e morti ammazzati, fra vecchi e nuovi padrini, ruotassero tutte le vicende della politica italiana”[pp.19-20].

 Salvo a ricredersi più tardi, quando scopre che la tela è assai più vasta e complessa e che la madre di tutte le vicende della politica italiana era rappresentata dalla “loggia P2 di Licio Gelli, di Michele Sindona e dei loro padrini politici”[p.20]. Ecco trovato nel piduismo il grimaldello per comprendere i tanti misfatti, tutti volti a controllare denaro e potere nell’intento, in un primo tempo, di una “violenta occupazione” dello Stato, secondo il progetto politico contenuto nello Schema R. [dove R. sta per rivoluzionario], e in secondo tempo nel tentativo, grazie all’apporto del cosiddetto Piano di rinascita democratica, di “rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini elettori”, [p.45].

 Non c’è dubbio che le analisi della Bonsanti, per quanto in gran parte già note, per tutto quello che negli ultimi decenni è stato scritto sugli stessi argomenti, suscitino una qualche attenzione, soprattutto laddove si tratti di apprendere qualche particolare in più. Come pure, è sensato imputare ad alcuni iscritti alla P2 probabili responsabilità in merito a fatti che misero a dura prova la vita della Repubblica, riconoscendo alla magistratura il merito di aver talora riempito il vuoto lasciato da un potere esecutivo, spesso imbelle e condizionato dagli interessi e dalle fazioni. Desta invece più di una perplessità la semplificazione con la quale la giornalista arriva a concludere che tutti i mali dello stato italiano siano imputabili al piduismo, soprattutto se si considerano gli argomenti utilizzati per sostenere questa tesi:
1)L’appartenenza dei piduisti alla Massoneria. 2)La presenza nel mondo degli affari di iscritti alla loggia di Licio Gelli. 3) L’attribuzione non dimostrata alla P2 della regia di ogni intrigo e mistero italiano. 4)L’esistenza del Piano di rinascita democratica con il fine preciso di trasformare la Repubblica democratica in stato autoritario, soprattutto attraverso le modifiche costituzionali.  

 L’ultimo punto, sul quale la Bonsanti insiste particolarmente, è divenuto quanto mai attuale proprio in questi giorni in cui il Parlamento è chiamato ad esprimersi sulle riforme costituzionali e sulla legge elettorale. Osserva in proposito Marco Travaglio su Il fatto quotidiano del 15 Luglio u.s., che “se andrà in porto la controriforma elettorale e costituzionale” voluta da Renzi e Berlusconi con il patto del Nazareno, Licio Gelli e la loggia P2 saranno finalmente accontentati. 

 «Quanto al Parlamento – scrive tra l’altro Travaglio - il capo della P2 sfoderava una gamma di proposte davvero profetiche. “Ripartizione di competenze fra le due Camere” con due “nuove leggi elettorali diverse: per la Camera di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco)”; e – udite udite – “per il Senato di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali”. Uno spettacolare caso di telepatia vuole che proprio questo sia il “Senato delle Autonomie” inventato da Renzi & B: Camera elettiva, ma fino a un certo punto (l’Italicum, con le liste bloccate dei deputati nominati, rende il Piano di Gelli un tantino troppo democratico); e Senato con elezione di “secondo grado”, cioè con i consigli regionali che nominano senatori 95 fra consiglieri e sindaci. Il Maestro Venerabile meriterebbe almeno il copyright. Anche per l’idea di espropriare il Senato del voto di fiducia: “Modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del Consiglio è eletto dalla Camera” e “per dare alla Camera preminenza politica (nomina del Primo Ministro) e al Senato preponderanza economica (esame del bilancio)”. Qui però i venerabili allievi Matteo e Silvio vanno addirittura oltre: la Camera vota in esclusiva la fiducia al governo del premier-padrone della maggioranza, e il Senato non vota più neppure il bilancio».

 Insomma, le analisi di Travaglio mi sembrano la puntuale conclusione delle affermazioni contenute nel libro della Bonsanti e, del resto, già il 28 Marzo, Il fatto quotidiano aveva riportato l’appello di Libertà e Giustizia contro le riforme:

 “Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014, per creare un sistema autoritario che dà al presidente del Consiglio poteri padronali. Con la prospettiva  di un monocameralismo e la semplificazione accentratrice dell’ordine amministrativo, l’Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi cambia faccia mentre la stampa, i partiti e i cittadini stanno attoniti (o accondiscendenti) a guardare. La responsabilità del PD  è enorme  poiché sta  consentendo l’attuazione del piano che era di Berlusconi, un piano persistentemente osteggiato in passato a parole e ora in sordina accolto.

 Il fatto che non sia Berlusconi ma il leader del PD a prendere in mano il testimone della svolta autoritaria è ancora più grave perché neutralizza l’opinione di opposizione. Bisogna fermare subito questo progetto, e farlo con la stessa determinazione con la quale si riuscì a fermarlo quando Berlusconi lo ispirava. Non è l’appartenenza a un partito che vale a rendere giusto ciò che è sbagliato. Una democrazia plebiscitaria non è scritta nella nostra Costituzione e non è cosa che nessun cittadino che ha rispetto per la sua libertà politica e civile può desiderare. Quale che sia il leader che la propone”.

 In merito non posso che ripetere quanto già scrivevo allora, aggiungendo soltanto che il cosiddetto Piano di rinascita democratica non è un male in sé e che, se al suo interno vi sono elementi simili a quelli che potrebbero essere utilizzati per uscire dalla paralisi legislativa in cui il Paese versa da troppi anni, non bisogna averne timore né demonizzarli:

 “Il bicameralismo perfetto è bello perché rende l’Italia l’unico Paese al mondo capace di esercitare l’autentica democrazia. Già, perché si sostiene che l’abolizione del Senato elettivo e legislativo, sostituito dalla Camera delle autonomie, con rappresentanti non retribuiti ed eletti indirettamente dai cittadini attraverso le consultazioni regionali e comunali, rappresenterebbe una svolta autoritaria in senso illiberale. In altre parole, il vero esercizio della democrazia consisterebbe nella quasi totale paralisi e/o nel sistematico insabbiamento delle leggi, costrette a rimbalzare per anni tra una Camera e l’altra del Parlamento”. [Sull’intera questione, rimando al post del 1 Aprile 2014: Bicameralismo perfetto è bello!].

sergio magaldi

Nessun commento:

Posta un commento