domenica 28 dicembre 2014

La filosofia di Woody Allen in MAGIC IN THE MOONLIGHT

Woody Allen, Magic in the Moonlight  [Magia al chiaro di luna], USA, 2014, 97 minuti



 Può la magia rappresentare l’alfabeto del soprannaturale? Lo spiraglio attraverso il quale l’assoluto si lascia intravedere? Sì, se il mago fosse in grado davvero di conoscere passato, presente e futuro di ognuno. Sì, se egli fosse capace di stabilire una reale comunicazione tra vivi e morti.

 Partendo da tale presupposto, Woody Allen costruisce con la consueta abilità ed eleganza una commedia “minore”, secondo il giudizio che, quasi all’unanimità, e secondo me a torto, ne dà la critica più autorevole, italiana e internazionale.

 Almeno di non voler credere nella fede e nei miracoli come testimonianza dell’assoluto, la magia resta l’unica possibilità di dare senso a un universo che sembra non averne. Ma la magia non è altro che mistificazione e un abile prestigiatore può smascherarla meglio di un qualsiasi scienziato, perché conosce più di ogni altro i trucchi dell’illusione.

 L’assunto di Woody Allen prende corpo nelle sembianze del gentiluomo inglese Stanley Crawford [Colin Firth], alias celebre prestigiatore cinese col nome di Wei Ling Soo che, nella Berlino della fine degli anni Venti del secolo scorso, compie prodigi davanti agli occhi esterrefatti di un pubblico sempre più in delirio per i suoi giochi di prestigio che sembrano inimitabili.

 Chi meglio di lui, lo sollecita l’amico e collega Howard Burkan [Simon Mc Burney], sarà in grado di smascherare Sophie Baker [Emma Stone] una sedicente e seducente medium che introdottasi in casa dei Catledge – una ricchissima famiglia americana che dimora sulla Costa Azzurra – li ha praticamente irretiti con le sue pratiche di magia?

 Stanley accetta volentieri la proposta di Howard e parte per il sud della Francia dove avrà anche modo di riabbracciare zia Vanessa [Eileen Atkins], un’anziana signora che la sa lunga sul mondo e che non solo condivide “la filosofia” del nipote, ma che addirittura sembra aver contribuito a trasmettergliela. Zia Vanessa, tuttavia, ha in più del nipote la conoscenza di una forma particolare di magia: la magia dell’amore.

  Il celebre prestigiatore è presentato ai Catledge dal suo amico Howard sotto falsa identità. In una cornice suggestiva, quale ci appare la  Costa Azzurra degli anni Venti, nella splendida fotografia di Darius Khondji, Stanley è sicuro del fatto suo: in breve tempo saprà smascherare la presunta chiaroveggenza di Sophie perché, come dichiara al suo amico, in una battuta in cui si coglie in pieno la grande ironia di Woody Allen: “Non c'è niente di vero, dal tavolino a tre zampe al Vaticano”.

 Stanley è più che mai convinto che il cosmo e la vita non abbiano senso né finalità e che l’esistenza umana sulla terra ubbidisca unicamente alla legge che Hobbes enunciò con una formula fortunata, ripresa dall’Asinaria di Plauto [II,4,88: lupus est homo homini…]: homo homini lupus, ogni uomo è lupo all’altro uomo. Il gentleman inglese e prestigiatore cinese non ha dubbi: Dio è morto, secondo la celebre sentenza che Nietzsche annotò nell’opera del 1882, La Gaia Scienza, e ribadì più tardi in Così parlò Zarathustra :

 “[…]Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!”
[La Gaia Scienza,125,vol.V,tomo II,“Opere di F. Nietzsche”, Adelphi, Milano, 1965,pp.129-30]







  Non andare tra gli uomini e rimani nella selva! Va piuttosto tra gli animali! Perché non vuoi tu essere come me – un orso tra gli orsi, un uccello tra gli uccelli?»
«E che cosa fa il santo nella selva?» domandò Zara-thustra.
Rispose il santo: «Io compongo canzoni e le canto; e quando le compongo, rido, piango e mormoro: così lodo Iddio. Col cantare, col piangere, col ridere e col mormorare,io lodo Iddio che è il mio nume. Ma che cosa ci porti tu in dono?».
Quando Zarathustra ebbe udito queste parole, salutò il santo e disse: «Che cosa avrei io da darvi? Ma lasciatemi partir presto, perché non vi tolga nulla!». E così si separarono, l'un dall'altro, il vecchio e l'uomo, ridendo come ridono due fanciulli.
Ma quando Zarathustra fu solo, parlò così al suo cuore: «Sarebbe dunque possibile! Questo vecchio santo non ha ancora sentito dire, nella sua foresta, che Dio è morto!».[Monanni,Milano,tr.D.Ciampoli,Prologo di Zarathustra 2, p.34]






 Del resto, il riferimento alla morte di Dio ricorre spesso nei film di Woody Allen, e molti ricorderanno la sua massima più divertente sull’argomento: «Dio è morto, Marx è morto e anch'io oggi non mi sento tanto bene!».

 Forte della sua fede nella ragione e interprete del silenzio di Dio, Stanley, a contatto con Sophie, è sempre più combattuto tra il desiderio di falsificare le verità della magia e la speranza che ci sia davvero qualcuno dotato di super poteri, per arrivare infine amaramente a concludere che “l’unico super potere certo brandisce una falce”. Quando però si accorge che gli è impossibile smascherare la ragazza e che addirittura è lei a scoprire la sua vera identità, entra in una condizione di ebbrezza che gli fa credere reali i poteri di Sophie.

 La magia, però, spesso non è dove si crede che sia e non è certo che rappresenti la scorciatoia verso l’assoluto, perché – è detto nel film – “il mondo può anche essere del tutto privo di scopo, ma non del tutto privo di magia”. Che c’è di più magico di un cielo stellato al chiaro di luna, agli occhi di due innamorati?
  







 Per altri film di Woody Allen presentati in questo blog, vedi GIGOLO' PER CASO, cliccando sul titolo.


 sergio magaldi




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