mercoledì 28 gennaio 2015

CAVALLI DI RAZZA O CAVALLI DI TROIA?




Nel post Il Nuovo Inizio [clicca sul titolo per leggere], accennavo agli scenari non esaltanti che si andavano prefigurando con l’imminente elezione del presidente della repubblica. Mentre i nomi dei candidati continuano a rincorrersi in rete, sulla carta stampata e nei cenacoli dei partiti, va fatta una considerazione amara e realistica: neppure uno dei personaggi che si sentono proporre, con qualche speranza di successo, ha le carte in regola. Appartengono tutti, uomini e donne, alla casta che ha governato il Paese negli ultimi decenni e che non può non essere considerata responsabile in solido della grave crisi che è sotto i nostri occhi, con il debito pubblico cresciuto di un terzo in circa vent’anni, la disoccupazione raddoppiata, il potere di acquisto di redditi fissi e pensioni ridotto di oltre il 60%, le imprese dimezzate e il suicidio di tanti piccoli imprenditori, le tasse più elevate d’Europa, le riforme annunciate e mai realizzate, la corruzione tacitamente accettata come regola di governo, le tante lobby mai intaccate nei loro secolari privilegi.

 Insomma, visto che un capo dello stato bisogna pur eleggerlo, si abbia almeno il pudore di sceglierlo al di fuori della politica, anche considerando che la nostra non è una repubblica presidenziale, tant’è che il primo cittadino non viene scelto direttamente dal popolo ma dai suoi cosiddetti rappresentanti. Una personalità della cultura e/o dell’arte, di chiara fama nel mondo e stimata dalla maggior parte dei cittadini italiani, potrebbe essere la persona giusta. Ce ne sono? Pochi, ma comunque qualcuno c’è… Umberto Eco, Dario Fo, Riccardo Muti e forse qualche altro.

 E, invece, si può essere certi che il nuovo presidente sarà espressione di questa vergognosa e colpevole classe politica. Sarà Amato, sarà Prodi? Sarà una donna, nella persona di Anna Finocchiaro? Forse nessuno dei tre, ma intanto si continua a far credere all’opinione pubblica che i candidati più forti e rappresentativi [certamente i più pagati] sarebbero proprio Prodi e Amato, veri cavalli di razza della politica italiana. Scrivevo in un precedente post: […] chi non ricorda il già ineffabile capo dell’Ulivo, ancora il 20 Maggio del 2010 in una lettera al Messaggero, sostenere che “L’ingresso dell’Italia nell’euro rimane come uno dei punti più  alti della nostra recente storia nazionale”? Un euro accettato da sudditi e non attraverso un referendum tra i cittadini, vietato dalla “costituzione più bella del mondo”.

 Il vero scontro per il Quirinale è sempre stato quello tra Amato e Prodi, i genitori dell’euro e della sottomissione a Eurogermania, nella quale siamo entrati con un pessimo cambio lira-euro, facendo pagare una tassa ai cittadini-sudditi e, prima ancora, con un prelievo forzoso dai loro conto correnti. Chi dimentica le dichiarazioni successive di Vincenzo Visco – a quei tempi ministro delle Finanze del governo Prodi – a Il Fatto Quotidiano, allorché rivelò che l’ingresso dell’Italia nell’euro fu voluto fortemente dall’Unione Europea, per evitare che la debolezza della lira favorisse il commercio dell’Italia a scapito della Francia e soprattutto della Germania, costrette a commerciare in un mondo globalizzato con una moneta più forte e dunque meno competitiva? Una svendita del nostro Paese, dunque, perché senza l’ingresso dell’Italia nell’euro, la moneta unica non sarebbe mai nata. Lo stesso Prodi ha di recente riconosciuto gli enormi vantaggi che i tedeschi hanno ottenuto dall’introduzione dell’euro.

 Di Prodi e di Amato e dei motivi che dovrebbero sconsigliarne l’elezione alla presidenza della Repubblica non ho da dire molto di più di quello che scrissi nei post della primavera del 2013, allorché si stava per eleggere il nuovo capo dello stato e si arrivò poi alla rielezione di Giorgio Napolitano. La domanda che mi ponevo allora e che a maggior ragione mi pongo oggi è: Prodi e Amato sono “cavalli di razza” o sono stati i “cavalli di Troia” di Eurogermania?

 Amato è l’uomo che Berlusconi ha sempre voluto per il Quirinale. Pare sia anche il candidato preferito, in funzione anti-Renzi, da Giorgio Napolitano, Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani. Di lui, gli italiani ricordano l’incursione  nottetempo nel loro conto corrente. In realtà, Amato incarna le virtù peculiari dell’italiano medio: astuzia e capacità di adattarsi rapidamente e con incredibile disinvoltura alle circostanze e alle convenienze. Di più, egli sembra rappresentare l’anima stessa della partitocrazia. Socialista, poi psiuppino con Basso, tornato nel PSI con incarichi ministeriali, fiero avversario di Craxi all’interno del partito, poi divenuto craxiano di ferro con nomine prestigiose. Sottosegretario alla presidenza del consiglio nel governo del leader socialista, ministro del Tesoro con Goria e De Mita, presidente del consiglio e soprattutto, nell’era di tangentopoli, vicesegretario del partito socialista, e di recente giudice costituzionale voluto da Napolitano. Tra i “meriti” politici, oltre al già ricordato prelievo forzoso nelle tasche degli italiani che con esemplare lungimiranza anticipò di dieci anni le misure adottate a  Cipro, Giuliano Amato può rivendicare: l’abolizione della scala mobile e le misure “lacrime e sangue”, anche in questo antesignano di una politica divenuta quanto mai attuale nel Belpaese.

 Come Prodi e come Tremonti [un altro folgorato sulla strada di Damasco], Amato, più ineffabile di sempre, si presenta oggi con un atteggiamento incredibilmente e inutilmente problematico nei confronti dell’euro e della politica dell’Unione Europea. Si leggano di seguito le sue dichiarazioni: 

[Testo di Byoblu, dal video blog di Claudio Messora del 7 Gennaio]:

 “Noi abbiamo fatto una moneta senza stato. Noi abbiamo avuto la faustiana pretesa di riuscire a gestire una moneta senza metterla sotto l’ombrello di un potere caratterizzato da quei mezzi e da quei modi che sono propri dello Stato e che avevano sempre fatto ritenere che fossero le ragioni della forza, e poi della credibilità che ciascuna moneta ha.
 Eravamo pazzi? Qualche esperimento nella storia c’era stato di monete senza Stato, di monete comuni, di unioni monetarie, ma per la verità non erano stati molto fortunati. Perché noi, quando ci siamo dotati di una moneta unica, abbiamo pensato che potevamo riuscirci in termini di Unione, e non facendo lo Stato europeo? Avevamo già costruito un mercato economico comune fortemente integrato. Più o meno avevamo un assetto istituzionale che non era quello di uno Stato ma certo era qualcosa di molto più robusto di quello che usualmente c’è a questo mondo: la comunità europea, l’Unione Europea, col suo Parlamento, la sua Commissione, i suoi Consigli. Abbiamo anche previsto di avere una banca centrale.
 Però, sapete com’è, abbiamo deciso che trasferire a livello europeo quei poteri di sovranità economica che sono legati alla moneta era troppo più di quanto ciascuno degli stati membri fosse disposto a fare. E allora ci siamo convinti, e abbiamo cercato di convincere il mondo, che sarebbe bastato coordinare le nostre politiche nazionali per avere quella zona, quella convergenza economica, quegli equilibri economici-fiscali interni all’Unione Europea che servono a dare forza reale alla moneta.
 Non tutti ci hanno creduto. Molti economisti, specie americani, ci hanno detto allora:
 Guardate che non ci riuscirete! Non vi funzionerà! Se vi succede qualche problema che magari investe uno solo dei vostri paesi, non avrete gli strumenti centrali che per esempio noi negli Stati Uniti abbiamo, che può intervenire il governo centrale, riequilibrare con la finanza nazionale le difficoltà delle finanze locali. La vostra banca centrale, se non è la banca centrale di uno Stato, non può assolvere alla stessa funzione cui assolve la banca centrale di uno Stato, che quando lo Stato lo decide diventa il pagatore senza limiti di ultima istanza.
 In realtà noi non abbiamo voluto credere a questi argomenti. Abbiamo avuto fiducia nella nostra capacità di auto coordinarci e abbiamo addirittura stabilito dei vincoli nei nostri trattati che impedissero di aiutare chi era in difficoltà. E abbiamo previsto che l’Unione Europea non assuma la responsabilità degli impegni degli Stati; che la Banca Centrale non possa comprare direttamente i titoli pubblici dei singoli Stati; che non ci possano essere facilitazioni creditizie o finanziarie per i singoli Stati. Insomma: moneta unica dell’Eurozona, ma ciascuno deve essere in grado di provvedere a se stesso.
 Era davvero difficile che funzionasse, e ne abbiamo visto tutti i problemi.”


sergio magaldi

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