martedì 10 febbraio 2015

LA TEORIA DEL TUTTO

The Theory of Everything, regia di James Marsh, Gran Bretagna, 2014, 123 minuti



 Un altro film presentato dalla critica massmediatica come un “capolavoro”, questo del regista inglese James Marsh, così come avvenne solo pochi mesi fa con l’uscita del film dell’italiano Mario Martone. Il primo vede protagonista il cosmologo e astrofisico Stephen Hawking, il secondo guarda alla figura di un grande spirito come Giacomo Leopardi. Ma presentare la genialità scientifica o quella poetica nelle incarnazioni di Hawking e di Leopardi è davvero lo scopo e il senso  del film di Marsh e/o di quello di Martone? La Teoria del Tutto così come Il giovane favoloso non si rivolgono alla testa e alla spiritualità di un pubblico culturalmente educato, ma alla pancia dello spettatore che ha bisogno di cibo scadente per alimentare la propria fame di emozioni a buon mercato. Scrivevo a proposito del film di Martone [per leggere tutto, clicca sul titolo del post: Il GIOVANE FAVOLOSO… ma dov’è GIACOMO LEOPARDI?]:“Un’occasione persa… L’opportunità di portare sul grande schermo un poeta sublime, in Italia forse secondo solo a Dante  Alighieri, sprecata e ridotta a poco più di una rappresentazione di cronologia biografica, dalla quale peraltro viene espunto un arco significativo di oltre dieci anni

 Per il film La Teoria del Tutto si può ripetere più o meno la stessa cosa, con l’aggravante che tante sono le opere di divulgazione scientifica scritte da Stephen Hawking. Sarebbe stato sufficiente tenerne conto nella sceneggiatura, in luogo di limitarsi a citare solo qualche titolo dagli indici dei libri. Si è scelta invece una pura operazione di mercato, portando sullo schermo la malattia, l’incredibile resistenza dello scienziato costretto a comunicare grazie a un sintetizzatore vocale, l’abnegazione e l’amore [finché durò] di sua moglie Jane. Naturalmente, qui si tratta di un mercato ancora dignitoso, non paragonabile a quello offerto da certi programmi televisi dove personaggi che nemmeno si conoscono tra loro vengono assoldati per rappresentare vicende familiari e/o esistenziali,  laceranti e spacciate per vere.

 L’equivoco maggiore sta nel titolo del film, dove si vuole far credere che si parli della famosa teoria ancora ricercata da Hawking e non già del libro di sua moglie Jane [in Italia edito da Piemme con il titolo Verso l’Infinito], dove la donna racconta la sua vita di sacrificio con lo scienziato. Perché sin dal 1963, a poco più di vent’anni, Stephen è colpito da atrofia muscolare progressiva che lo costringe su una sedia a rotelle.

 Ciò, d’altra parte, non significa che James Marsh non si sia servito di grandi interpreti. Tali infatti risultano sia Eddie Redmayne, nelle vesti di Stephen Hawking, sia Felicity Jones in quelle di sua moglie Jane. Ma il film dopo la prima mezz’ora finisce con l’annoiare, a meno che lo spettatore non si lasci coinvolgere dalle terribili dinamiche del dolore e dal presupposto di maniera, presente anche nel film su Leopardi, e cioè che genio e malattia siano facce delle stessa medaglia.

 Il titolo del film risulta invece appropriato se si guarda non già al suo contenuto, ma alla ricerca incessante e mai terminata dello scienziato ancora vivente. Perché l’idea che ha sempre assillato Stephen Hawking è stata ed è quella di scoprire una “Teoria del Tutto”, intesa come la formula capace di comprendere tutte le le leggi della fisica per spiegare l'Universo.

 La teoria della Relatività ristretta di Albert Einstein – formulata nel 1905 e dimostrata sperimentalmente dieci anni più tardi – afferma che la velocità è una grandezza relativa, con la sola eccezione della velocità della luce che è sempre di 300.000 km al secondo. Con la formula della Relatività Generale che è una conseguenza di quella ristretta, Einstein rivoluziona completamente la fisica di Newton, dimostrando che spazio e tempo non sono realtà assolute e separate tra loro. L’idea che alle tre dimensioni dello spazio, altezza, larghezza e profondità, debba aggiungersi come variabile indipendente la dimensione temporale è superata con il passaggio dallo spazio tridimensionale alla quarta dimensione che comprende anche il tempo. La conseguenza immediata è che viene rivoluzionato anche il concetto newtoniano di attrazione gravitazionale. La gravità è causata dalla curvatura spazio-temporale che si determina in prossimità di corpi celesti molto massicci: stelle, pianeti oppure quando un corpo si muove alla velocità della luce, determinando la contrazione dello spazio e la dilatazione del tempo. Ciò che spiega, per esempio, perché la Terra orbiti intorno al Sole, che ha una massa molto più grande di quella terrestre, o perché a sua volta la Luna, che ha un corpo più piccolo, orbiti attorno alla Terra.

 Dalle equazioni della Relatività Generale di Einstein, Friedmann, un matematico e cosmologo russo, dedusse che l’Universo doveva essere in espansione e ciò in contrasto con la nozione di Universo statico di Einstein, il quale, per sostenere la sua idea di Universo, aveva opposto una costante cosmologica repulsiva per bilanciare l’attrazione reciproca di tutti i corpi e impedire all’Universo di collassare, in forza della gravità. Il grande scienziato ebreo tedesco ammise di essersi sbagliato allorché l’esperimento mostrò che le galassie si andavano via via allontanando dal punto di vista dell’osservatore. Finì così per accettare a malincuore l’idea di un Universo in espansione. Ma proprio le più recenti ricerche di Hawking dimostrano che forse Einstein non s’era sbagliato del tutto.

 Nel 1931, il fisico e sacerdote cattolico Georges Lemaître suggerì che l’evidente espansione del Cosmo implica l’idea di una sua contrazione andando indietro nel tempo, sino ad un singolo punto prima del quale non c’è né tempo né spazio e che deve necessariamente coincidere con l’istante della Creazione. La scienza si presenta così in perfetto accordo con la religione, non solo per i primi versetti di Genesi [l’esplosione biblica della luce, diventa qui il Big Bang della Scienza, anche se l’espressione fortunata fu coniata in senso dispregiativo da Fred Hoyle a commento dell’idea di Lemaître] ma anche in virtù della dottrina talmudica dello Tzimtzum, secondo la quale l’esistenza dell’universo è possibile per un processo di contrazione di Dio che “si ritira”, lasciando libero un punto, dal quale si viene formando l’intero universo [Vedi sull’intera questione il post  Che la luce sia…, cliccando sul titolo per leggere].

 Stephen Hawking, dal canto suo, riteneva compatibile l’idea di un Creatore supremo con le scoperte della Scienza. Ancora nel libro di divulgazione scientifica del 1988 [Dal Big Bang ai Buchi Neri. Breve storia del Tempo] osserva: “[…] c’è compatibilità tra fede religiosa e fiducia nelle scienze”, ma continua a ritenere fondamentale la scoperta di una Teoria del Tutto: “Se riuscissimo a scoprire una teoria completa, sarebbe il trionfo della ragione umana perché riusciremmo a capire la mente di Dio”. Ma è proprio a partire dallo studio dei Buchi Neri, la cui concezione si spiega con la curvatura dello spazio-tempo di Einstein, che Hawking giunge a conclusioni diametralmente opposte. Una stella che collassa e si raffredda pigia sempre di più sulla curvatura del piano spazio-tempo sino a formare un buco nero, un pozzo senza fondo dove non c’è più né luce, né spazio né tempo, un vero e proprio abisso, il cui bordo è chiamato da Hawking Orizzonte degli Eventi [dove la gravità diventa così forte che nulla può sfuggirle], in considerazione del fatto che i punti dello spazio-tempo sono detti Eventi, fenomeni a quattro coordinate, che si verificano in virtù di una certa posizione spaziale in un certo momento. 

 La ricerca successiva porta Hawking a dubitare dell’esistenza di un INIZIO dell’Universo e quindi dell’esistenza di un CREATORE, potendosi spiegare il Cosmo in base alla sola legge di gravità e in considerazione di una mutata concezione dei buchi neri, non più pozzi senza fondo, rappresentativi del NULLA, ma buchi cosmici provvisori e dotati  di proprietà termiche, dai quali nel tempo, per evaporazione e per effetto di continue radiazioni, emanerebbe l’energia delle particelle. Lo stesso Orizzonte degli Eventi, sarebbe solo apparente e in grado solo temporaneamente di imbrigliare la luce. Questa concezione, peraltro contestata, permetterebbe a Hawking di coniugare finalmente insieme la Relatività Generale di Einstein che descrive l’Universo su grandi scale e La Meccanica dei Quanti che lo spiega a livello subatomico. La prima pietra cioè di una Teoria del Tutto. 

 Ma anche su questo punto [la scoperta cioè di una teoria del tutto], Hawking rivede la sua concezione, formulando alcuni interrogativi: 1) Esiste davvero una teoria  unificata delle leggi della fisica per spiegare l’Universo? 2) Non esiste, ma c’è tutta una serie di teorie per descrivere il Cosmo? 3) Non esiste alcuna teoria dell’Universo e oltre un certo limite gli eventi si verificano in modo casuale e arbitrario e perciò non possono essere previsti?

 Naturalmente, di tutta questa appassionante ricerca, che abbiamo provato a riassumere in modo sommario, non c’è traccia nel film. Resta il merito di aver sollecitato la curiosità intellettuale degli spettatori più consapevoli.
                            


sergio magaldi

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