martedì 5 maggio 2015

DALLA BICAMERALE ALL'ITALICUM

Immagine ripresa da wordpress.com


 La denuncia del Patto del Nazareno da parte di Forza Italia non ha avuto, almeno per il momento, l’esito felice che, per il centrodestra, ebbe la rottura della Bicamerale. Com’è noto, fu l’allora segretario del PDS, Massimo D’Alema, con Prodi al governo, a contrarre un patto con Berlusconi per istituire una Commissione Parlamentare per le Riforme Costituzionali che prevedeva anche una nuova legge elettorale. Inaugurata nel Febbraio del 1997, la Commissione, nel cosiddetto incontro della “crostata” del 18 Giugno 1997, suggellava l’accordo tra PDS, PPI, AN e FORZA ITALIA, per una repubblica semipresidenziale e una legge elettorale a doppio turno di coalizione. A qualche mese di distanza, Berlusconi denunciò l’accordo faticosamente raggiunto, chiedendo a sorpresa, per meri calcoli elettoralistici, l’introduzione del cancellierato e una legge elettorale di tipo proporzionale, determinando così il fallimento della Bicamerale.

 Le dinamiche che hanno portato alla rottura del Patto del Nazareno sono solo formalmente identiche a quelle che affossarono la Bicamerale. Sfasciando la Commissione, Berlusconi e Forza Italia, allora in rampa di lancio, si preparavano alla vittoria elettorale del 2001. Questa volta si è trattato invece, col pretesto dell’elezione non concordata di Mattarella al Quirinale, di arrestare l’emorragia di voti del proprio elettorato, sceso, durante le trattative per il varo delle riforme costituzionali e della nuova legge elettorale, di oltre il 10% dei consensi. Con il paradosso che l’Italicum, votato compattamente al Senato da Forza Italia, è rigettato inutilmente dai forzisti alla Camera senza essere mutato di una virgola.

  L’ineffabile Brunetta [e con lui anche la democratica Rosy Bindi] parla di “vittoria di Pirro” da parte di Renzi, perché si dichiara certo che la riforma costituzionale del Senato non passerà [così come prospetta un altro ineffabile, il democratico Roberto Speranza], stante i rapporti di forza all’interno di quel ramo del Parlamento e che, in conseguenza di ciò, l’Italicum, varato per un sistema monocamerale, verrà dichiarato incostituzionale, se non lo farà già nelle prossime ore il Presidente della Repubblica, come chiedono anche Cinque Stelle, Lega ecc… Una richiesta davvero strana e pretestuosa, giacché Mattarella, sebbene provenga dalla Corte Costituzionale, non ha certo in mente di rubare le prerogative e le competenze della Consulta. Un invito che serve solo alle opposizioni per prendere finalmente le distanze dal Capo dello Stato, così come fecero nei confronti di Napolitano.

 Non entrerò nel merito della nuova legge elettorale approvata ieri, per averlo già fatto [Vedi: Qualche considerazione sull’Italicum, cliccando sul titolo per leggere]. Mi limito a osservare che avrei preferito l’introduzione del vincolo di mandato per gli eletti, un premio di maggioranza meno consistente [330 per la maggioranza e 300 per le opposizioni, in luogo del rapporto 340 – 290, sancito dalla legge], una percentuale di voti del 45%, e non del 40%, per far scattare il “premio” al primo turno. Una misura più alta avrebbe infatti garantito quasi sicuramente il ballottaggio tra le due liste più votate, rendendo meno difficile da digerire il correttivo della democrazia parlamentare, rappresentato dal premio di maggioranza. Infatti, il previsto 40% dei voti espressi, tenuto anche conto del fenomeno sempre più rilevante dell’astensione e che, in una stessa lista [fortunatamente solo al primo turno], sia pure con un simbolo unico, possono confluire più partiti, rischia di essere raggiungibile, vanificando l’istituto del ballottaggio, presidio democratico di questo Italicum. È vero tuttavia che il limite di  ingresso del  3%, dovrebbe ostacolare di molto il raggiungimento del quorum che fa scattare il premio di maggioranza per una lista, già dal primo turno.

 Non sarà inutile accennare alle vere ragioni delle opposizioni per spiegare la scelta del voto segreto e dell’Aventino sulla legge elettorale. Forza Italia, che pure aveva accettato, per averlo votato in Senato, il principio del ballottaggio senza coalizione di liste, si rende ora conto che diventa difficile creare l’unita del centrodestra sin dal primo turno e soprattutto spiegare a quel che resta del proprio elettorato [11% secondo tutti i sondaggi] l’unificazione sotto la leadership del leghista Salvini [circa il 15% ], con Fratelli d’Italia e Casa Pound, per un programma elettorale che prevede addirittura l’uscita dall’euro. Cinque Stelle, dal canto suo, sa di essere, almeno sulla carta, avvantaggiata dal poter andare al ballottaggio contro il PD, ma sa anche che il Partito Democratico [appoggiato da SEL e altre forze di sinistra] potrebbe vincere già al primo turno e che comunque vincerebbe al secondo, grazie ai voti dell’elettorato di centrodestra che, tra Renzi e un pentastellato, sceglierebbero di sicuro il segretario del PD [opinione di cui non sarei tanto sicuro]. Ma, soprattutto, il Movimento di Grillo teme che il centrodestra, superando le divisioni interne, si presenti unito sin dal primo turno e che sia lui ad andare al ballottaggio. Timore non del tutto ingiustificato e che sottoscrivo anch’io. Circa le ragioni dell’opposizione all’Italicum, da parte della cosiddetta sinistra del PD, rimando al post citato sopra.

 Ciò premesso, resta da chiedersi se il vero problema per le opposizioni, oltre i calcoli di bottega sublimati di spirito democratico, non sia rappresentato dal non poter disporre, davanti all’opinione pubblica, di un leader credibile da opporre validamente a Matteo Renzi.


sergio magaldi

Nessun commento:

Posta un commento