sabato 4 luglio 2015

IL 5 LUGLIO DEGLI EUROPEI




   Ormai a poche ore dal voto,  tutti i cittadini europei si chiedono con qualche apprensione quali saranno le conseguenze del referendum greco. Prevedere in anticipo la vittoria del o del no è praticamente impossibile. I sondaggi che sino a qualche giorno fa davano un punto e mezzo di vantaggio ai , ora sembrano attestarsi sulla perfetta parità.

 Viene da chiedersi perché Tsipras e Varoufakis abbiano scelto questa strada. La vittoria elettorale di Syriza e la relativa formazione di un esecutivo legittimato dai cittadini davano al governo il potere democratico di scegliere quale via intraprendere: la trattativa ad oltranza o il rifiuto di cedere alle richieste dell’Unione Europea. E per quanto ci si sforzi di credere che proprio dal Paese che inventò la democrazia venga una lezione all’Europa – attraverso una scelta che non ha precedenti nel rapporto con le istituzioni europee che mai hanno avvertito la necessità di chiamare alle urne i cittadini, né al momento di introdurre l’euro, né per l’adozione di politiche di austerità – , resta in molti la convinzione che la scelta del referendum, con tutti i rischi che comporta, sia stata determinata da contrasti interni al governo e al partito di maggioranza.

 Solo così si spiega un ricorso al voto il cui esito, se prevarrà il , sarà esiziale per il governo e che, se prevarrà il no, avrà come conseguenza probabile il default della Grecia e inevitabili ricadute per la maggior parte dei paesi europei. Si ha un bel dire che l’eventuale vittoria del no non impedirà la ripresa delle trattative con la Troika, né comporterà l’uscita dall’euro. Proprio su questi argomenti si basa la propaganda del , con il timore della classe media che il no faccia precipitare definitivamente il Paese nel baratro. Ed è questa una strategia che potrebbe risultare vincente, con buona pace di tutte le aspettative che non solo in Grecia, ma anche altrove in Europa, aveva suscitato la formazione di un governo capace di tener testa alla Merkel e ai “signori dell’austerità”.

 La vittoria del sarebbe infatti, almeno in un certo senso, una sconfitta per Podemos in Spagna e, per certi aspetti, anche per Cinque Stelle in Italia. Rafael Mayoral, segretario per le Relazioni con la Società Civile di Podemos, ha dichiarato di condividere le scelte del governo greco. Non si è schierato apertamente per il no, nel rispetto della democrazia e delle scelte dei cittadini greci [quasi  evocando lo spirito e i principi del 1789, in un linguaggio diversamente comune con altri esponenti di Podemos che parlano di ghigliottina per fermare la corruzione pubblica in Spagna], ma ha sostenuto che “È venuta l’ora di non fare calcoli elettorali, ma di difendere i diritti umani di fronte all’austericidio”. Analogamente, sia pure in toni più defilati, Beppe Grillo ha manifestato il suo appoggio al governo greco. Sarà ad Atene in questi giorni e attende rispettoso le scelte dei cittadini. Perché Mayoral, Pablo Iglesias, leader di Podemos, e Beppe Grillo non sostengono apertamente il no contro il ricatto di Bruxelles? Ragioni di politica interna, evidentemente. Il Movimento Cinque Stelle sta crescendo in Italia al ritmo in cui cala il consenso verso il PD di Renzi e Podemos, appoggiato dal PSOE e da Izquierda Unida, si accinge a governare le più importanti città della Spagna. E le elezioni nel paese iberico sono vicine: il 27 Settembre si vota in Catalonia e il 20 Dicembre in tutto il Paese. E c’è chi dice che Rajoy vorrebbe addirittura giocare d’anticipo, votando il più presto possibile, prima che si allarghi il consenso attorno a Podemos e il PP si veda sfilare voti anche da parte di Ciudadanos, una formazione di centrodestra, ma critica verso il Partido Popular. Non a caso, Rajoi si sta affrettando a fare approvare la riforma fiscale che, a giudizio degli avversari, è solo una manovra elettorale e per di più “classista” perché, mentre prevede minori aliquote dell’uno per cento per i redditi sino a 12450 euro [dal 20 al 19%], per quelli sino a 20200 euro [dal 25 al 24%] e per quelli sino a 35200 euro [dal 31 al 30%], per i redditi sino a 60000 euro prevede un’aliquota minore del 2% [dal 39 al 37%] e analogamente per quelli oltre i 60000 euro [dal 47 al 45%].

 Il 5 Luglio sarà comunque una data decisiva per i cittadini europei: per la prima volta saranno di fronte, da una parte la cricca che governa l’Europa, nel nome della Merkel, dell’austerità e dell’alta finanza, dall’altra coloro che lottano per l’avvento di un’Europa che sia davvero espressione della volontà popolare. E per quanto questo referendum mi lasci perplesso, per i motivi che dicevo sopra, non c’è dubbio che solo la vittoria del no – pur con tutti i rischi di “colpi di coda”, cui i maggiorenti europei ricorreranno per incutere timore nelle classi medie – può rappresentare il primo tassello di una Europa alternativa a quella che purtroppo conosciamo.

 In questa prospettiva, c’è un lontano precedente di buon auspicio. Quando, il 28 Ottobre del 1940, il popolo, chiamato al referendum, disse no all’occupazione del suolo greco da parte dell’Italia di Mussolini. Ne seguì una guerra, ma da quel no nacque la resistenza greca contro l’Europa nazifascista.


sergio magaldi



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