domenica 30 agosto 2015

UN ROMANZO SPAGNOLO SULLA LIBERTA'...



Julia Navarro, Dime quién soy, Octava edicion DEBOLS!LLO, Barcelona, enero 2015, pp.1096



 Pubblicato cinque anni fa con gran successo di pubblico, il romanzo di Julia Navarro, Dime quién soy, appare quest’anno per l’ottava edizione DEBOLS!LLO. Ben 1096 pagine per una storia che conquistò non soltanto i lettori spagnoli, ma quelli di tutto il mondo. Anche le edizioni italiane, pubblicate da Mondadori nel 2011, prima nella collana Omnibus, poi negli Oscar [Dimmi chi sono] hanno fatto ottimi incassi.








  Di recente ho riletto il romanzo nell’originale castigliano dell’ultima edizione e mi sono reso conto del perché di questo successo. Scritto in uno stile semplice, che poi è quello da sempre congeniale all’autrice, giornalista di professione, il romanzo della Navarro si basa su un espediente narrativo di sicuro effetto ancorché di maniera; sul coinvolgimento emotivo, soprattutto del pubblico femminile, nei confronti di Amelia Garayoa, l’intrepida protagonista della vicenda; nonché sulla storia del mondo di oltre mezzo secolo – dalla guerra civile spagnola del 36’-39’ alla caduta del muro di Berlino del 1989 – rivissuta a grandi tratti, nelle forme essenziali e indelebili conservate nella memoria collettiva, e però sempre in relazione agli eventi di cui i singoli personaggi sono diretti testimoni.

 L’espediente narrativo consiste nell’incarico che il giovane Guillermo – che si accontenta di scrivere, scarsamente retribuito, per un giornale online, vuoi per il rifiuto di sottomettersi alla logica partitica, vuoi per la crisi economica che si è abbattuta in Europa [2009-2010] e che ancora è sotto gli occhi di tutti – riceve dalla zia Marta. Si tratta di investigare sulla figura della bisnonna, nonna della zia e di sua madre, su cui la famiglia ha sempre taciuto, considerando scandaloso per gli equilibri familiari, persino pronunciare il suo nome. La zia pagherà le spese della ricerca, e in più gli offrirà un discreta somma per i pochi mesi che durerà l’indagine. Al termine, Guillermo s’impegna a scrivere la storia della bisnonna che la zia ha intenzione di regalare a tutti i membri della famiglia per il prossimo Natale.

 Il primo impatto del giovane ricercatore sarà scoprire che nel barrio di Salamanca, la zona ricca di Madrid, abitano ancora dei Garayoa, che presto si riveleranno come la famiglia stessa della bisnonna. Da quel momento, Guillermo ricostruirà passo dopo passo la vita movimentata di Amelia, viaggiando per la Spagna, poi per l’ Europa intera e persino in Argentina, in Israele e negli Stati Uniti, sulle orme di chi la conobbe di persona o comunque ne sentì parlare. La zia Marta, ricca ma poco disponibile ad affrontare le spese di un’indagine costosa e che rischia di andare per le lunghe, si farà ben presto da parte rinunciando a finanziare ulteriormente il progetto da lei stessa concepito. Sul punto di lasciare, ormai a malincuore, perché la figura della bisnonna gli si rivela sempre più intrigante, Guillermo accetterà l’offerta della famiglia Garayoa che si offre di sostituire la zia Marta nel finanziare la ricerca.

 Chi fu in realtà questa donna di cui la famiglia di Guillermo possiede, oltre il tabù che la riguarda, solo una foto ingiallita che la ritrae bella, giovanissima e sorridente, vestita da sposa e con un ramo di fiori in mano? Di ottima famiglia borghese, di origine basca per parte di padre e catalana per parte di madre, Amelia nasce a Madrid nel 1917. Di lei Guillermo ricostruisce l’adolescenza grazie all’esistenza di un diario e ne coglie tutta la determinazione giovanile, grazie ai racconti di Edurne, la sua vecchia “tata”: il precoce matrimonio, sconsigliato dai genitori per la giovane età, la nascita del figlio a soli diciotto anni, la conoscenza di Lola, militante socialista, l’ingresso nella sua vita di Pierre, il  giovane comunista, franco-russo, di cui si innamorerà sino a fuggire con lui, abbandonando il marito e Javier, il figlioletto di quattro mesi, che poi risulta essere il nonno di Guillermo.

 Già in questa scelta di abbandonare il tetto coniugale, con la motivazione di voler lottare per l’affermazione degli ideali comunisti, c’è in nuce tutta la figura della futura Amelia. Una donna sensibile e generosa ma al tempo stesso egoista, facilmente influenzabile soprattutto in questa fase della sua esistenza, e che non conosce “gli ostacoli” della ragione. Una creatura all’apparenza dolce e delicata, ma in realtà forte e implacabile nel perseguire uno scopo, quale che esso sia, senza preoccuparsi della conseguenza delle proprie azioni, salvo a pentirsene più tardi quando è impossibile tornare indietro. Sarà così ogni volta: il matrimonio, di cui si pentirà quasi subito, la fuga con l’amante e l’adesione agli ideali comunisti, quando si accorgerà che Pierre, agente sovietico con la copertura di libraio, si è servito di lei e che il comunismo di Stalin è solo l’altra faccia del terrore con cui la Germania di Hitler minaccia la pace del mondo. Inutile sarà a quel punto pentirsi e cercare la via del ritorno: il marito tradito non le permetterà più di accostarsi a suo figlio, “ciò che ha di più caro al mondo”, continuerà a ripetere Amelia, senza tuttavia lottare – come pure saprà fare in seguito anche in situazioni disperate e a rischio della vita – perché il suo diritto di madre sia riconosciuto dalla legge. Una lotta impossibile, sembra giustificarla l’autrice. La Spagna repubblicana e libertaria, caduta nelle mani dei fascisti del generalissimo Françisco Franco, si è ormai trasformata in una dittatura dove classismo e maschilismo la fanno da padroni. Neppure un giudice avrebbe stigmatizzato il comportamento di Santiago, il marito di Amelia, vendicativo al punto di utilizzare il figlio da lei concepito per punirla, neanche a un giudice sarebbe venuto in mente di indagare sul comportamento di quest’uomo prima e durante il matrimonio,  su un’abitudine che aveva già prima del fidanzamento: scomparire anche per più di una settimana per viaggi di affari e senza avvertire nessuno. L’atteggiamento più egoista e crudele che si possa immaginare nei confronti delle persone amate. Il dialogo tra la madre di Amelia e quella di Santiago [pp.76-77] è molto eloquente in proposito:

 “La madre de Santiago informò a la madre de Amelia que su hijo no estaba, que no había acudido a almorzar ni había telefoneado, y no sabía si aparecería a la hora de la cena. A doña Teresa le sorprendío que la madre de Santiago no se mostrara alarmada, pero ésta le explicó que su hijo tenia por costumbre desaparecer sin decir adónde iba.
    No es que vaya a ningún lugar que no deba, todo lo contrario, siempre es por trabajo; ya sabe que mi marido le ha encargado que se haga cargo de las compras para la empresa, y es Santiago quien viaja a Francia, Alemania, Barcelona … en fin, donde tenga que ir. Santiago siempre se va sin decirnos nada; al principio me asustaba, pero ahora sé que no le pasa nada – explicaba doña Blanca
       Pero usted se dará cuenta de que se va porque saldrá de casa con maleta – respondío un tanto escandalizata doña Teresa.
       Es que mi hijo nunca lleva maleta.
       ¿Pero como? Esos viajes tan largos… de tantos días… – exclamó doña Teresa.
    Santiago dice que él lleva el equipaje en la cartera.
        ¿ Cómo dice?
       Sí, que él se sube al tren y cuando llega a su destino compra lo que necesita; siempre lo ha hecho así. Ya le digo que al principio me preocupaba, e incluso su padre le reconvenía, pero nos hemos acostumbrado.Tranquilice a Amelia, Santiago llegará a tiempo para la boda.¡Está tan enamorado!”.

   [“La madre di Santiago informò la madre di Amelia che suo figlio non c’era, che non c’era stato per pranzo né aveva telefonato, e che non sapeva se sarebbe apparso per l’ora di cena. Donna Teresa fu sorpresa che la madre di Santiago non fosse preoccupata, però questa le spiegò che suo figlio aveva per abitudine di sparire senza dire dove andasse.
       Non che vada in qualche luogo dove non debba andare, al contrario, è sempre per lavoro; lei già sa che mio marito lo ha incaricato di fare acquisti per la nostra impresa, ed è Santiago che viaggia in Francia, Germania, a Barcellona… insomma dove deve andare. Santiago sempre va via senza dirci nulla; all’inizio mi angustiavo, però ora so che non gli succede nulla – spiegava donna Blanca.
       Però lei si renderà conto che è partito, perché uscirà di casa con la valigia – rispose un po’ scandalizzata donna Teresa.
       È che mio figlio non porta con sé una valigia.
       Com’è possibile? Questi viaggi tanto lunghi… di tanti giorni – esclamò donna Teresa.
       Santiago dice che ha il suo bagaglio nel portafoglio.
       Come dice?
       Sì, che egli sale sul treno e quando arriva a destinazione compra ciò di cui ha bisogno; ha fatto sempre così. Già le ho detto che al principio mi preoccupavo e suo padre con me, però ormai ci siamo abituati.Tranquillizzi Amelia, Santiago giungerà in tempo per le nozze. È tanto innamorato!” [trad. mia].

 Insomma, i diritti di madre di una donna infedele non sarebbero stati riconosciuti e nella Spagna clerico-fascista di Franco quasi sicuramente Amelia sarebbe finita in carcere per adulterio.








 Comunque sia, il ritratto di Amelia non è quello della foto ingiallita di famiglia, di sposa e di madre borghese destinata a invecchiare negli agi e nella serenità. Innocente per non aver tradito il proprio ruolo, colpevole per l’indifferenza e/o l’estraneità di fronte ai drammatici avvenimenti del XX secolo. Amelia è in realtà una metafora della libertà. Lei è sempre lì dove c’è bisogno di lottare contro l’oppressore e ovunque l’uomo si trovi in catene per motivi ideologici o razziali. Sempre disposta a rischiare la vita pur di salvare il prossimo ingiustamente soggiogato da un potere demoniaco e finché non trionfi la giustizia che è l’altra faccia della libertà. Amelia non è una intellettuale, non ha mai letto Shakespeare e il suo impegno non è il frutto di complesse teorie,  ma è l’azione spontanea del combattente che utilizza ogni mezzo pur di raggiungere il proprio fine. Questa lotta ha però un prezzo, perché la libertà non può essere conquistata senza pagarne il corrispettivo in termini di sentimenti negati, di sacrificio e di sangue. E quando il suo compito sarà terminato, eccola scomparire tra la folla facendo perdere le proprie tracce.

 La chiave del libro, e in fondo la sua bellezza, è proprio nel racconto di Amelia come metafora della libertà. Ma non è questo a determinare il successo di una narrazione che ha tutte le caratteristiche per essere definita una sorta di romanzo popolare. Paradossalmente, credo che a decretare la fortuna del libro siano stati piuttosto gli elementi che sotto il profilo stilistico e strutturale lo rendono più debole: la prosa eccessivamente semplice e giornalistica ma più facilmente accessibile al vasto pubblico, la dimensione tutta esteriore in cui i personaggi raccontano se stessi, con poche riflessioni di carattere intimistico, le fortunate coincidenze per le quali i fatti narrati s’incastrano gli uni con gli altri, la prodigiosa longevità di molti testimoni, l’incredibile puntualizzazione di dettagli riportati da chi non poteva essere presente ai fatti, e soprattutto l’aver proposto la narrazione quasi sempre in forma diretta, come se le vicende riguardassero il presente e non un lontano passato. Inoltre, un finale prevedibile ma largamente auspicabile da parte dei lettori. Al netto di tali qualità accattivanti, ma non propriamente ortodosse, il romanzo ormai a cinque anni dalla sua prima apparizione, si lascia leggere con interesse e senza mai annoiare, nonostante le sue mille pagine.


sergio magaldi

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