giovedì 26 novembre 2015

CHI E' E CHE SIGNIFICA HIRAM? [Parte Quarta e Ultima]




(Segue da CHI E' E CHE SIGNIFICA HIRAM? [Parte Prima], CHI E' E CHE SIGNIFICA HIRAM [Parte Seconda], CHI E' E CHE SIGNIFICA HIRAM [Parte Terza]. Clicca su ogni titolo per leggere)



 L’intento di ritrovare le fonti della leggenda di Hiram mi ha portato, quasi inevitabilmente, ad interrogarmi sulle fonti stesse dell’istituzione massonica. Ciò dimostra quanto sia importante approfondire lo studio della leggenda, anche se bisogna convenire che finché la ricerca si muove in ambito storico, pochi sono i progressi che potranno compiersi, vuoi per mancanza di documentazione, vuoi per il consolidarsi di tradizioni ormai diffusamente accettate.

 Per altro aspetto, non del tutto convincente appare il tentativo di rintracciare le fonti della leggenda di Hiram fuori dell’ambito biblico, riconducendo gli episodi della vita e della morte di Hiram a generici miti solari di morte e di resurrezione. Troppo semplice, e in tal caso Hiram sarebbe estraneo al ciclo di Salomone, cui invece sembra indissolubilmente legato.

 E’ sin troppo facile, in tal senso, avvicinare il mito di Hiram al mito egizio di Osiride. D’altra parte, la preferenza, accordata dalla maggior parte degli autori a questo mito piuttosto che al racconto biblico, si spiega soprattutto con la necessità di sottolineare il momento topico della morte e della resurrezione, così importante in una tradizione iniziatica. Scrive in proposito il Porciatti:

 “La drammatica leggenda non può dirsi ispirata dalla Bibbia; infatti biblicamente Hiram è ricordato quale geniale artista, fonditore delle due colonne del Tempio e dei loro capitelli, del ‘mare di bronzo’ e di altre cose ancora, ma mai quale architetto preposto alla costruzione del Tempio e capo di una immensa schiera di operai che avrebbe ripartito in Apprendisti, Compagni e Maestri. Essa è piuttosto inspirata dalla iniziazione Osirica, da quel terzo grado della iniziazione Egizia che si chiamava ‘Porta della Morte’, anzi la riproduce: la bara di Osiride, di cui l’assassinio era supposto recente, portava ancora le tracce del sangue ed era posta al centro della sala dei Morti, ove avveniva una parte della cerimonia; si chiedeva all’Iniziando se aveva preso parte all’assassinio di Osiride, e dopo altre prove malgrado i suoi dinieghi era colpito, o gli si imponeva la sensazione di essere colpito con un colpo di ascia alla testa; esso era rovesciato, avvolto in bende come le mummie; si gemeva attorno a lui; balenavano lampi; l’Iniziando, il supposto morto, era avvolto di fuoco, poi reso alla vita.[24]

 Ciò che sorprende di questa analisi è l’aver ridotto l’intera leggenda di Hiram ad una generica rappresentazione del mito solare e ad una brutta copia del mito di Iside e Osiride, dove le analogie si possono riassumere nella morte di Osiride per mano del fratello di sangue Seth, nella ricerca disperata che Iside, la vedova di Osiride, fa dello sposo perduto e infine nell’attribuzione ai massoni del titolo di figli della vedova.

 Giustamente Osiride è stato detto Signore della morte e della resurrezione [25], ma egli è solo una tra le tante divinità nella folta schiera dei morti e risorti in cui troviamo Orfeo, Dioniso, Mithra, Adone, Cristo, Krishna e molti altri, tutti peraltro riconducibili al ciclo cosmico e vegetativo, al mito del Sole che scompare e ogni volta rinasce, mentre la Luna, inconsolabile vedova, lo va cercando nella notte stellata.

 La maggiore fortuna di Osiride, tra i morti e i risorti, si spiega forse con la sua immediata identificazione col Sole. Egli “è un dio fecondo e benefico, la cui vita, morte e resurrezione hanno seguito, fin dalle origini mitiche, il ritmo di tutta la vita egiziana particolarmente nei due cicli entro i quali essa si aggira: il ciclo agrario e il ciclo funerario. [26]

 La funzione normalizzatrice e rassicurante dell’iniziazione osirica riguarda ogni aspetto del viver civile e della morte stessa, perché Osiride è insieme il Nilo e il deserto, il sole che ogni giorno appare all’orizzonte, tramonta e ogni volta risorge, il seme fecondo e il corpo smembrato, la certezza della morte e la fede nella resurrezione. E non importa se queste sono soltanto le forme di conoscenza dell’apparenza, come dimostra la cura che gli Egizi dedicano alla conservazione dei cadaveri e al mantenimento della loro integrità, perché le forme dell’apparire sono simboli della realtà e la realtà si rivela nella formula della ricorrenza e dell’eterno ritorno.

 E’ dunque abbastanza comprensibile, anche se alquanto generico, riferire a Osiride quella parte della leggenda massonica di Hiram, che parla di morte e di resurrezione, perché l’iniziazione non può che essere un’avventura della coscienza individuale e perché, a quanto pare, fu nella valle del Nilo che venne elaborato per la prima volta il processo psicologico dell’iniziazione [27] attraverso un viaggio rituale che, come testimonia il Papiro T 32 di Leida, contemplava per il postulante l’arrivo e l’accettazione, quindi la proclamazione di giustificato, cioè di destinato alla resurrezione, quindi il bagno rituale, l’illuminazione con stati di coscienza fuori dell’ordinario (non si sa sino a che punto indotti artificialmente) e che, infine, si concludeva col ‘sonno nel tempio’.

 Come si vede, nulla forse che ricordi i rituali massonici, ma certamente la comune convinzione che il rituale di iniziazione sia almeno capace di operare una prima trasformazione della coscienza. E certo Hiram ci fa venire in mente il mito egizio di Osiride e, attraverso questo, i miti solari e della ciclicità naturale, il mito della morte e della resurrezione e soprattutto il mito del Caos sempre risorgente e in grado di minacciare l’Ordine raggiunto. Anche il mondo più organizzato, infatti, conserva traccia del Caos che può distruggerlo, anche nella coscienza più illuminata può annidarsi il germe della distruzione che trasforma in assassino. Osiride esorcizza bene nella cosmologia egizia tutto ciò che nasce, muore e deve rinascere in eterno ciclo, egli è l’espressione mitica della ricorrenza: il sole, la luna, la vegetazione. A cominciare dalle terre lussureggianti che il Nilo faceva affiorare e puntualmente faceva scomparire. Come Osiride è ucciso dal fratello Seth, Hiram è ucciso da forza fraterna e tuttavia antagonista, come Osiride, Hiram è destinato a cadere mille volte e mille volte a risorgere.

 Se, dunque, si guarda Hiram alla luce del mito della morte e della resurrezione, non c’è dubbio che la fonte primaria della sua leggenda possa essere ricondotta al mito egizio di Osiride e di Iside, come sostiene la maggior parte degli studiosi. Ma, giova ripeterlo, sotto questo riguardo, non è meno vero che la leggenda, da un punto di vista più generale, possa appartenere ad uno qualsiasi dei tanti miti di dei ed eroi morti e risorti. Gesù, per esempio, come pure altri autori sostengono. Qui, gli apostoli-iniziati vanno cercando le spoglie del dio ucciso per farlo risorgere. In tale prospettiva, comunque, la vicenda di Hiram, altro non sarebbe che una tarda rappresentazione dei miti solari e/o della rinascita e dunque della consolazione e della speranza.

 Cosa c’è, al contrario, di unico e peculiare nella leggenda massonica di Hiram? La costruzione del Tempio, nel senso e con la prospettiva nota a tutti i massoni e per la quale ogni fratello sa di dover portare la propria pietra sgrossata.

 C’è di più: sostenere che l’iniziazione in quanto tale sia opera di edificazione, è errore determinato dall’identificazione del momento spazio-temporale dell’iniziazione con il rituale che la conferisce, ignorando una verità semplice e fondamentale e cioè che tempo e spazio della coscienza non corrispondono al tempo e allo spazio della realtà. La coscienza converte, per così dire, il tempo e lo spazio della realtà, nel proprio ‘vissuto’ o Erlebnis e può scoprire di essersi davvero modificata solo al termine di un lungo e faticoso processo di cui gli istanti spazio-temporali della realtà sono solo isolati dati d’esperienza sebbene talora dotati di forte carica emozionale. Si aggiunga che ogni drammatizzazione simbolica, se ha il potere di fissare l’attenzione dell’attore e di tenerla desta, non ha anche la creatività sufficiente, per il suo carattere essenzialmente ludico, per generare una coscienza ‘nuova’. L’iniziato sa, per quanto grande sia la sua emozione durante il rito, di recitare una parte e che questa parte simula ma non è la propria morte e rinascita. Al di là del gesto liturgico, egli sa bene che ciò che potrà trasformare e, per così dire, ampliare davvero la sua coscienza è la progressiva e costante consapevolezza di essere davvero ‘morto’ e ‘rinato’. Può così accadere, per quanto paradossale possa sembrare, che egli rimanga un iniziato soltanto virtuale anche dopo reiterate e più elevate iniziazioni.

 Alla luce di quanto sopra, mi sono chiesto se non sia possibile conseguire maggiori risultati mutando di prospettiva e cioè collocando la leggenda di Hiram all’interno del ciclo di Salomone, in uno spazio e in un tempo meramente simbolici, dove sia tuttavia possibile spiegare la leggenda per se stessa senza farla dipendere da generici miti di morte e rinascita. Sarà forse così anche più facile comprendere perché, nei documenti e nei rituali della Massoneria speculativa del XVIII secolo, il ritrovamento della tomba di Hiram si confonda o s’intrecci spesso con quello del disseppellimento di Noè ad opera dei suoi tre figli.

 A tale proposito conviene ricordare l’etimologia di Hiram e il significato che gli è stato dato. Spirito si è detto o qualcosa di simile. Ebbene, dove s’incontra, nella Bibbia, per la prima volta la parola ‘spirito’ ? Proprio all’inizio, al secondo versetto di  Bereshit o “Genesi”, dov’è scritto che ‘lo spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque’. Qui, ‘spirito’ in ebraico è Ruach   ed è proprio spirito nel significato più vicino ad Hiram, cioè di spirito di vita. L’intera espressione del “Genesi” è Ruach Elohim, ‘spirito divino’ e come tale è riportata sull’architrave della Porta Ermetica di piazza Vittorio.

 Ricordando che nell’alfabeto ebraico ogni lettera è numero e ogni numero è lettera, il valore numerico di Ruach Elohim è 300,  cioè lo stesso valore della Shin  lettera simbolica del Fuoco e che è anche una delle tre lettere madri dell’alfabeto ebraico [28]

 Dello spirito con questo stesso significato parla l’Asclepius ermetico: ‘spiritus implet omnia…’ e ancora: ‘ spiritus vero agitantur sive gubernantur omnes in mundo species’ cioè: ‘ dallo spirito sono mosse e governate tutte le specie del mondo’. Di questo spirito parla Marsilio Ficino nel De Vita: ‘ipse vero est corpus tenuissimum, quasi non corpus…’, e nei Commentaria all’Ars brevis di Raimondo Lullo, Agrippa lo dice ‘spiritus domini’ che ‘replevit orbem terrarum’, ma la definizione più completa mi sembra quella che ne dà Galileo, nella famosa lettera del 23 Marzo 1615 a Monsignor Pietro Dini, in difesa del sistema copernicano:

 “Direi parermi che nella natura si ritrovi una substanza spiritosissima, tenuissima e velocissima, la quale diffondendosi per l'universo, penetra per tutto senza contrasto, riscalda, vivifica e rende feconde tutte le viventi creature; di questo spirito par che 'l senso stesso ci dimostri il corpo del Sole esserne ricetto principalissimo, dal quale espandendosi un'immensa luce per l'universo, accompagnata da tale spirito calorifico e penetrante per tutti i corpi vegetabili, gli rende vividi e fecondi.

 Tornando alle Costituzioni di Anderson ci stupisce vedere la Massoneria definita come Arte reale, una definizione in genere attribuita all’Arte ermetica. Salomone conosceva forse il valore della pietra filosofale? Parrebbe proprio di sì, almeno a quanto ne riferisce Yochanan Alemanno, un ebreo italiano vissuto nel Quattrocento. Nel suo Sepher ha-liqqutim egli racconta che la regina di Saba decise di andare a Gerusalemme per conoscere la saggezza di Salomone:

 “Andò così da lui in gran pompa – egli scrive - con molto oro, argento e pietre preziose da portare in dono al re, come testimonia la Scrittura. Si trova anche scritto nel Libro delle Cronache dei re di Saba che ella portò con sé quella preziosa pietra filosofale (…) per mettere alla prova con essa Salomone, verificare se egli conoscesse l’occulto segreto (…) Il re rispose a tutte le sue domande, le disse il segreto della pietra, la sua natura, il suo modo di agire, e anche altri misteri, che non è necessario riferire. La pietra rimase così nelle mani del re… [29]

 La stretta associazione tra Salomone e la pietra filosofale sarebbe anche attestata, a giudizio di Raphael Patai, ‘dal fatto che la materia prima della pietra era talvolta rappresentata con i due triangoli intrecciati del sigillo di Salomone, che sopravvive ancor oggi nell’emblema nazionale ebraico noto come Maghen David o Stella di Davide’ [30]

 Rispetto poi alla collocazione di Hiram per entro il ciclo di Salomone e della costruzione del Tempio, c’è da osservare che Michael Maier, il noto autore dell’Atalanta Fugiens, pubblicò nel 1620 a Francoforte la Septimana Philosophica, un libro - egli dice - in cui ‘gli aurei segreti di tutti i tipi di natura, del più saggio di tutti i re degli israeliti, Salomone, e della regina di Saba, nonché di Hiram, principe di Tiro, sono presentati e spiegati a turno alla maniera di una conversazione[31]

 Se, a tutto ciò, si aggiunge che l’altro Hiram, l’artigiano figlio di una vedova, è detto essere un valente fonditore di metalli, forse il migliore dell’epoca sua, si comprende che deve esserci un nesso, per entro il ciclo di Salomone, tra costruzione del Tempio, fonditura dei metalli e possesso della pietra filosofale.

 Come mai, inoltre, la figura di Hiram s’intreccia spesso con quella di Noè? E perché lo stesso Anderson dichiara, nelle Costituzioni, che la Massoneria o Arte reale aveva potuto raggiungere la perfezione ‘per l’intervento di Dio nella costruzione dell’Arca dell’Alleanza e del Tempio di Salomone’? Perché, in fondo, Hiram e Noè esprimono lo stesso concetto, travestono la medesima allegoria.

 Tutto l’episodio biblico di Noè, come ho già sottolineato, parla il linguaggio ermetico. A cominciare dall’Arca che troppo ricorda l’Atanòr, per continuare con i primi animali che Noè fa uscire dall’Arca: il corvo, seguito dalla colomba, secondo la massima ermetica, anch’essa scolpita sulla Porta Ermetica di Piazza Vittorio sotto il simbolo di Saturno: Quando in tua domo nigri corvi parturient albas columbas tunc vocaberis sapiens, cioè: ‘Quando nella tua casa negri corvi partoriranno bianche colombe allora sarai chiamato saggio’.

 E ancora: col ramoscello d’ulivo simbolo della prima viridescenza, poi con l’arcobaleno che, nella varietà dei suoi colori è l’annuncio della bontà dell’Opera e perciò dell’alleanza con Dio e della trasformazione, per finire con la vigna di Noè e il suo vino.

 Ove ci siano ancora dubbi sulla circolarità che accomuna Salomone, la leggenda di Hiram, la pietra filosofale e il Tempio, conviene guardare al Genesi che al versetto 28:22 dice: e questa pietra, che io ho eretta come stele, sarà la casa di Dio. E di questa pietra, ancora nello Zohar, Rabbi Juda ci dice che ‘è la pietra fondamentale’, ‘il radicamento del mondo’, ‘la pietra sulla quale il Tempio è stato costruito’[32]

 Naturalmente, anche la ‘via ermetica’ è solo una delle tante strade di ricerca per far luce sulle fonti e sul significato della leggenda di Hiram…


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[24] Cfr. U.G. Porciatti, op.cit., p.169
[25] Cfr. J. Campbell, Le figure del mito, trad.it., Mondadori, Milano 1991, pp.15-31
[26] Cfr. N.Turchi, Le religioni misteriosofiche del mondo antico, I Dioscuri, Genova, 1987, p.101
[27] Cfr. Max Guilmot, Iniziati e Riti iniziatici nell’antico Egitto, trad. it., Mediterranee, Roma 1999, pp.92 e ss.
[28] Ruach Elohim in base al valore numerico di ciascuna lettera ebraica, cominciando da destra a sinistra è il seguente: 200+6+8+1+30+5+10+40 = 300. Ruach Elohim è dunque la ghematria della lettera Shin.
[29] Cfr. in R. Patai, Alchimisti ebrei. Storia e testi, ECIG, Genova, 1997, p.123
[30] Ibid., p.55
[31] Ibid., p.53
[32] Cfr. Sepher ha-Zohar, 72a


 P.S.
     Di seguito la risposta alla domanda di Davide Crimi, rivoltami in data 22 Novembre u.s. sul Gruppo Facebook “Massoneria Democratica”.

DOMANDA:

[Davide Crimi]: C'è una variante, non a caso elaborata in ambito scozzese, e in special modo templare, che attribuisce la morte di Hiram a S., per la contesa di gelosia per la Regina di Saba. Da quanto ho scritto, si capirà ciò che ne penso. Mi piacerebbe conoscere il pensiero di Sergio Magaldi su questo delicato e controverso aspetto.

RISPOSTA:

  Sì, certo, le varianti della leggenda sono tante. C’è quella da te ricordata che vede in Salomone –  geloso dell’ammirazione che la regina di Saba aveva manifestato per il grande architetto del tempio – il vero mandante dell’assassinio di Hiram. E ce ne sono altre: da quella che attribuisce la responsabilità al Gran Sacerdote, preoccupato che le conoscenze segrete di Salomone e di Hiram, potessero nuocere alla religione monoteista, a quella che considera lo stesso Salomone complice istigato dal Gran Sacerdote nell’ordinare il delitto. E, più “sottile” e malevola di tutte, quella che narra di  tre personaggi, Re Salomone, Re Hiram di Tiro e Hiram Abiff architetto e decoratore, a conoscenza di una parola segreta – che avrebbe permesso di ultimare l’edificazione del tempio e di avere un potere simile a quello del Demiurgo – di cui ognuno possedeva solo una sillaba. Senza il  “mattone” custodito e noto solo a Hiram Abiff, non sarebbe stato possibile pronunciare la parola. Fu allora che Salomone - presentato da questa versione della leggenda come un tiranno assetato di potere - volendo conoscere la sillaba che avrebbe completato il nome della parola, ordinò a tre operai di estorcerla ad Hiram Abiff. Com’è noto, Hiram custodì il segreto anche a costo della vita e la parola andò persa.

 Tale versione distorce ad arte la narrazione massonica, secondo la quale Hiram Abiff aveva diviso i lavoratori  in tre livelli, assegnando a ciascun livello una parola segreta per riscuotere il salario [B… per gli apprendisti, J… per gli operai e Je… per i maestri]. Fu allora che quindici operai meditarono di ottenere dal Gran Maestro la parola che li avrebbe resi maestri e capaci di riscuotere un salario più alto. Mentre però dodici di loro desistettero, tre dei più violenti tesero un’imboscata ad Hiram Abiff e, vista l’impossibilità di raggiungere il loro scopo, lo massacrarono. Sarà poi Salomone a ritrovare le spoglie del maestro morto e ad organizzare una spedizione per catturare gli assassini. Il Rito Scozzese [R.S.A.A.] dedica più di un terzo dei suoi 33 gradi per illustrare la vicenda di Hiram e di Re Salomone. Quel che è certo è che tutte le varianti della leggenda che fanno di Salomone un despota e un assassino sono più o meno dichiaratamente antimassoniche, per ciò che tendono a colpire la leggenda stessa su cui si basa la fondazione della Massoneria di ogni Ordine e/o Rito.


sergio magaldi

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