sabato 21 novembre 2015

SARTRE e HEIDEGGER: Essere e Nulla

 


 Scrive Ottavio Plini in merito ai post, Essere, Nulla e Manifestazione nella metafisica occidentale e nella Qabbalah [Prima Parte] e Essere, Nulla e Manifestazione nella metafisica occidentale e nella Qabbalah [Seconda Parte] (clicca su ciascun titolo per leggere):

 Credo di aver attentissimamente riletto la pregevolissima meditazione di Sergio Magaldi intorno alla Qabbalah, ai contenuti della metafisica occidentale, all’Essere e il Nulla: ma, pur riconoscendole intuizioni raffinate (che non mancherò assolutamente di sottolineare, come si noterà), quantunque ristrette con abilità ineguagliabile nello spazio di due articoli, nutro l’impressione che, anche nel caso in esame, l’heideggeriano oblio dell’Essere continui ad essere perpetrato – in tal modo pongo ex abrupto un punto. Inducono a pensarlo passaggi come “Se entro in una stanza e dico: 'Non c’è nessuno' è perché mi aspetto di trovarci qualcuno e, invece, proprio sullo sfondo di chi dovrebbe esserci, mi si manifesta la negazione come nullificazione contingente della presenza […]” o “non solo essere e nulla non coincidono ma c’è addirittura una priorità ontica (!) dell'essere sul nulla”. È stato precisato anche come in tali passaggi si cerchi di rendere il pensiero di Sartre, ma non a caso questi venne strigliato da Heidegger per esempio nella Lettera sull’Umanismo; tuttavia, certo, la questione ora non è di porsi a favore dell’uno o dell’altro, quanto di suscitare alcune eventuali e, per quanto possibile, stimolanti meditazioni.
 In estrema sintesi, secondo il pensiero heideggeriano, l’Essere è obliato in quanto confuso con l’Ente. Dire dell’Essere implica soluzioni del linguaggio al limite dell’evocativo (“L’Essere sussiste”, “risuona”, financo “fa cenno”), ed esso non va confuso con la presenza dell’Ente: con la dimensione ontica caratterizzata dalla presenza. In certo qual modo, allora, Essere e Nulla coincidono secondo una ben chiara prospettiva, vale a dire in quanto figure del nascondimento rispetto all’Ente qui-presente – calcolabile (nella tecnica) e vivibile (nell’esperienza): tecnica ed esperienza vissuta sarebbero infatti l’ultimo livello dell’oblio dell’Essere, già maturato nell’evoluzione della metafisica occidentale, ora manifesto nelle sue conclusioni più estese e comuni. Nei Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis) §129 Heidegger si esprime sul Nulla: “La determinazione <> del <>, riferita al concetto oggettivo di <> in tal modo più generale e più vuoto, è certamente <> e nei cui confronti chiunque è subito e facilmente maldisposto. […] E se invece l’Essere stesso fosse ciò che si sottrae e si presentasse essenzialmente in quanto rifiuto? […] Coloro che temono e disprezzano il <> devono essere sempre interrogati sul loro <>. E allora spesso si vede come di quel loro <> essi stessi non siano affatto sicuri”, o, più in breve, §269 “L’Essere non ricorda <>, tantomeno <>”. Va presumibilmente chiarito che nel pensiero del secondo Heidegger l’Essere si vela nell’Ente, ma, in un gioco chiaroscurale, diastolico-sistolico diremmo, vi si svela in altro modo: come nel caso della verità greca, a-lezeia, la quale risulta negazione, tramite l’alfa privativo, del coprire: s-coprimento.

 Tutto ciò per dire che, nell’umile parere di chi scrive, l’Essere non parrebbe ciò che riempie una stanza con una presenza, né il Nulla ciò che la svuota rendendo la presenza assente. Piuttosto, siamo adesso forse in grado di intuire alcune di quelle suggestioni esoteriche che, estremizzando in senso opposto ed esasperato il geniale chiaroscuro evocato da Heidegger, identificano nel Nulla la pienezza dell’Essere, in quanto distacco dagli Enti.
Ma veniamo ora a un altro punto che almeno io reputo di grande interesse. Magaldi scrive che “L’Essere non è il noumeno contrapposto al fenomeno [Kant]”: tuttavia, sul terreno del noumeno kantiano occorrerebbe procedere cauti, anche perché il grande meticoloso di Köninsberg, mentre offre enunciazioni limpide, cristalline, intorno a cosa intendere per fenomeno, nonché naturalmente intorno a molte altre cose, fornisce definizioni meno puntuali, o finanche molteplici, di noumeno (forse, azzardiamo, per lui coerentemente, avendolo asserito inconoscibile), rendendo l’enucleazione di tale concetto controversa. Tuttavia, con puntiglio invece esemplare, egli si sofferma sulle Idee della Ragione e sulle antinomie di cui sono informate: vi sono tre Idee che la Ragione, nella sua tensione verso l’Assoluto, pone nella condizione di essere lecitamente pensate, ma in assenza di una possibilità di corredarle di contenuto, ed esse sono l’Anima, il Mondo e Dio. Precisamente, senza dilungarci, tali Idee si vorrebbero definite sulla base delle categorie di qualità, quantità, relazione e modalità, tuttavia, per l’appunto, antinomiche. (Chi fosse interessato approfondisca la sezione della Dialettica trascendentale, in Critica della ragion pura.) Quel che piacerebbe sottolineare è che proprio su questo punto si inizino a notare delle corrispondenze con la meditazione di Sergio Magaldi: mi prenderei infatti l’estrema libertà di asserire che le tre Idee, pensabili ma non definibili, s’istituiscano su una funzione unificante – quantunque molto probabilmente in un modo molto diverso rispetto a ciò che Magaldi intende con tale enunciazione. Ad ogni modo la suggestione kantiana si rivelerà troppo potente, al punto che l’Idealismo tedesco, pur formalmente scaturito da input kantiani, si sforzerà di recuperare le antinomie, in modo tale da dimostrare che dei punti in questione invece si possa dire: Fichte porrà l’Io assoluto, statuente il non-Io, Schelling la Natura, sforzandosi di spiegare come l’Anima sia da cogliere in una intuizione immediata; Hegel, nell’intento di mediare tra quello che definiva l’idealismo soggettivo del primo e quello oggettivo del secondo, porrà la Storia (occidentale), e, nella convinzione di aver così forgiato, peraltro con sottigliezza e maestà rare, un idealismo assoluto, si consegnerà, mi si passi l’espressione, ad essa in catene – sorte bizzarra, per chi si reputava ab-solutus (libero-da). Ad ogni modo, è già qui intuito, com’è chiaro, che il Tre sia il principio dell’unificazione, come suggerisce ancora Magaldi. Perché allora non immaginare, con la dovuta riverenza, che dopo hegelismi di destra e di sinistra, la rilettura qui esibita, nella sua completezza e profondità, aggiungerei anche nel suo scrupoloso rifarsi all’inviolabile solidità del sistema cabalistico, non possa in certo qual modo fornire le basi di un hegelismo veramente assoluto (mi si accordi lo spunto)? Ma allora a quali opposizioni, e susseguenti riunificazioni, toccherà ad essa andare incontro?
Ottavio Plini


 Ripropongo di seguito, in breve sintesi, quanto avevo scritto, tra l’altro, nello specifico:

 “ […] Lo zero-nulla, dunque, non e il presupposto dell’esserci dell'Es­sere, perché, al contrario, è a partire dall'Essere che il nulla può manifestarsi, almeno a quanto è dato saperne. Se entro in una stanza e dico: 'Non c’è  nessuno' è perché mi aspetto di trovarci qualcuno e, invece, proprio sullo sfon­do di chi dovrebbe esserci, mi si manifesta la negazione come nullificazione contingente della presenza. In un certo senso, allora, il nulla è contenuto nell'essere come possibilità contingente del suo manifestarsi. II concetto si trova espresso in L'être et le néant di Jean Paul Sartre :

  “[...] il non-essere non è il contrario dell'es­sere, è la sua contraddizione. Ciò implica una posterità logica del nulla nei confronti dell'essere, perché esso è l'essere prima posto, poi negato”(op.cit., trad.it., I1 Saggiatore, Mila­no, 1964, p.50).

[…] In Was ist Metaphysik? (Frankfurt, l929), Heidegger si occupa principalmente del problema del nulla e dell'analisi dell'angoscia rivelatrice di questo nulla: il nul­la non è il di fuori dell'essere, ma la condizione che rende possi­bile, al di dentro dell'essere, la rivelazione dell'essere stesso. In Einfuhrung in die Metaphysik (Tubingen, I953), scritto che racco­glie le lezioni tenute presso l'Università di Friburgo nel I935, il filosofo tedesco traccia in quattro capitoli la storia della metafisica, rilevando come la metafisica classica, tralascian­do deliberatamente il problema del nulla con la motivazione che il nulla    n o n   è    semplicemente, abbia finito con l'occuparsi esclusivamente di ciò che è, snaturando il problema dell'essere in generale, sino a determinarne gradatamente l'oblio e facendo dell'essere niente altro che una nozione ovvia e una parola vuo­ta. Questo oblio del senso dell'essere costituisce il nostro destino e si comprende alla luce del nostro essere nel mondo: l'essere umano non è altro che un' apertura in direzione di tutto ciò che è.

 Quando parliamo del nulla, dunque, lo facciamo sempre con riferimento all’esperienza sensibile dell’assenza, della mancanza, dell'annientamento. Di esso possiamo dire soltanto che rappresenta una breve in­terruzione nel flusso dell’essere: quella stanza che ho trova­to vuota, presto tornerà ad animarsi di presenze. Di un altro nulla, non siamo autorizzati a parlare, per­ché non ne sappiamo niente e, di tutto ciò che non si sa, convie­ne tacere - ammonisce Wittgenstein. Ecco, persino quando dico: “del nulla non so niente”, mi accorgo come il nulla si riveli alla superficie dell'essere: non so nulla, cioè, di ciò che dovrei sapere. A tale proposito molto chiaramente si esprime lo Yezirah: “E prima dell'uno che numero puoi tu contare?”, si chiede polemicamente al presuntuoso lettore che intendesse iniziare a contare dallo zero.

In conclusione, dunque, per Sartre non solo essere e nulla non coincidono ma c’è addirittura una priorità ontica dell'essere sul nulla. Non si può porre, dunque, il nulla come “l'abisso originario donde l'essere nascerebbe”.

[…] Nella dualità maschio-femmina è contenuto il dualismo di tutto ciò che è. L’essere, dunque, non è “la pura indeterminatezza e il puro vuoto”, contrapposto e tuttavia identico al nulla e neppure insieme al nulla è destinato a scomparire nella concretezza del divenire [Hegel]. L’Essere non è il noumeno contrapposto al fenomeno [Kant], né l’eterno e immobile presente [Parmenide]. Il nulla come interrogazione sull’essere al di dentro dell’essere stesso [Sartre] o come trascendenza imperscrutabile [Qabbalah] non si contrappone all’essere ma ne è la naturale conseguenza. In altre parole, l’essere è la manifestazione della dualità, ma la polarità non è rappresentata dal nulla, perché il nulla è semplicemente contenuto in lui e/o è fuori di lui come ciò che non può essere detto ma che può essere pensato nella forma dell’unità [unificazione].L’errore delle religioni è quello di dare voce a questo uno-nulla, di per sé indicibile. Ecco perché la Qabbalah storica delle origini [Isacco il Cieco], pur ispirandosi al monoteismo ebraico, raccomanda di tenersi lontano dalle speculazioni su Ain-Soph, inteso come Unità e Nulla Infinito. La dualità della Manifestazione [il solo Essere che ci è dato conoscere] non può essere ricomposta semplicemente annullando le differenze della dualità radicale, nell’illusione che ci spinge a saltare il fosso nel tentativo impossibile di incontrare l’Uno. Né, d’altra parte, tale dualità può essere accettata fatalmente, al modo degli gnostici, come inevitabile conseguenza del nostro essere nel mondo. Il lavoro per l’essere umano sembra piuttosto quello di unificare ciò che è diviso, con la consapevolezza - come ammonisce lo Zohar - di poter conoscere l’Uno nella sola forma possibile che è quella dell’Unificato.   


 Innanzi tutto ringrazio Ottavio Plini per la qualità e lo spessore del suo commento che mi pare si riferisca più che altro al rapporto Sartre-Heidegger. In definitiva, non nego che, così come è stato da me formulato, questo rapporto abbia potuto generare l’idea di una totale assonanza dei due pensatori rispetto alla questione dell’essere e del nulla. Una semplificazione da parte mia, dettata dalla necessità del trattare in un post [e non in un saggio], la questione che più mi premeva di verificare la tradizione cabbalistica alla luce della metafisica classica.

 Non c’è dubbio che la rappresentazione del nulla fatta da Sartre sia implicitamente criticata da  Heidegger e che, di conseguenza, lo sia anche quella dell’essere. È vero cioè che il nulla al quale fa riferimento il pensatore tedesco non è lo stesso nulla cui si riferisce il francese. “Se entro in una stanza e dico: 'Non c’è nessuno' è perché mi aspetto di trovarci qualcuno e, invece, proprio sullo sfondo di chi dovrebbe esserci, mi si manifesta la negazione come nullificazione contingente della presenza […]”, scrive Sartre [L’être et le néant] e Heidegger osserva [Vas ist Metaphysik?]: «Questo stesso nulla “che non c’è” è anche considerato come l’opposto di ciò che c’è, di ciò che esiste ed è oggetto di scienza, ma questo nulla alternativo è fuorviante in quanto si pone al domandare allo stesso modo dell’ente divenendo un qualcosa di argomentabile. In questo senso il nulla diverrebbe un qualcosa, violando il principio di non contraddizione …  questo niente di negazione è posto dall’intelletto, è un niente «immaginario» e non il niente di per sé». Laddove il “nulla originario” si manifesterebbe per Heidegger proprio nella riscoperta del senso dell’Essere, obliato tanto dalla metafisica classica quanto dallo stesso Sartre, per aver confuso l’Ente con la totalità dell’Essere. «In fondo c’è un’essenziale differenza tra il cogliere la totalità dell’ente in sé e il sentirsi in mezzo all’ente nella sua totalità. La prima cosa è impossibile, l’altra accade costantemente nel nostro esserci», osserva ancora Heidegger. Questa consapevolezza – conclude il filosofo di Meßkirch – produce allo stesso tempo lo svelamento dell’Unità-Totalità dell’Essere, ma solo come “Das Unheimliche” [Il Perturbante freudiano: ciò che è avvertito insieme come familiare ed estraneo e che genera angoscia unita ad una spiacevole sensazione di confusione ed estraneità], cioè lo Spaesamento che a sua volta ci permette d’incontrare per la prima volta il “Nulla originario”. Con ciò si ritorna alla Scienza della Logica di Hegel e alla coincidenza – sia pure con implicazioni diverse – tra puro Essere e puro Nulla. C’è di più: questo Nulla originario è altrettanto immaginario del nulla cosiddetto difettivo, perché è analogamente concepito nell’inutilizzabilità e/o nella mancanza, nel senso che non posso concepire questo “nulla originario” se non a partire dalla consapevolezza che mi manca la possibilità di cogliere l’Essere come totalità.

 Come osserva giustamente Ottavio Plini, la vera differenza tra Sartre e Heidegger, sembra piuttosto delinearsi con La Lettera sull’ Umanismo (1947), in risposta indiretta a  L’ Esistenzialismo è un umanismo (1946) di Sartre. Tuttavia, a parte il fatto che questo lavoro [frutto di una conferenza di un anno prima, tenuta presso il Club Maintenant di Parigi] fu più tardi in gran parte sconfessato da Sartre, resta da comprenderne l’intento etico-pratico all’indomani di una guerra scatenata dalla barbarie nazista. Quando il poligrafo francese afferma che “l’esistenza precede l’essenza”, il suo scopo è quello di rivendicare la libertà dell’uomo e la sua totale responsabilità in ogni scelta e non già affermare un primato dell’esserci sull’essere che, d’altra parte, sarebbe in contrasto con le note affermazioni contenute in L’être et le nèant: “L’uomo è il nulla dell’essere”, “Questo nulla si annida nell’essere come un verme nella mela”. Quale il senso dell’operazione sartriana? L’universo è insignificante, il silenzio di Dio e la mancanza di valori fondanti obbligano l’uomo a creare da sé i propri fini e significati: “L’uomo non è altro che ciò che egli fa di se stesso”. Insomma,  nell’impossibilità di cogliere la totalità dell’Essere, diversamente da Heidegger, Sartre separa l’ontologia dall’etica. Il pensatore tedesco fa invece di questa impossibilità [«quel che conta – egli scrive – è l'essere, non l'uomo.»] un obbligo per l’uomo di ascoltare l’Essere, in quanto egli non ne è il padrone, ma il pastore. Il rischio, a questo punto, è che questo “ascolto” si traduca di nuovo nel ritorno ad Hegel e allo Spirito che si manifesta nelle sue varie forme [Religione, Arte e Poesia, Filosofia].

 In conclusione, ritengo che non ci sia una reale distinzione tra Sartre e Heidegger sul piano ontologico e che quelle che appaiono come differenze siano piuttosto dovute a una diversa concezione dell’etica.

 Circa l’altra questione, ho scritto effettivamente che l’Essere non è il noumeno kantiano, neppure guardando alla totalità delle idee antinomiche che sembrerebbero riempirlo di contenuto, per il motivo che più che all’Essere [come vorrebbero Sartre e Heidegger], queste idee fanno riferimento ai poteri della ragion pura e poco hanno a che vedere con la complessità del reale inteso come Unità-Totalità. Più che di antinomie, si tratta in realtà di tautologie già insite per definizione nella ragione umana e sono d’accordo con Ottavio Plini per quanto afferma circa il loro “scivolamento” nelle varie forme dell’idealismo assoluto. Non vedo invece come sia possibile ricondurre la questione qui posta, dell’essere e del nulla, sia pure  per rapporto a quella che egli chiama  “l’inviolabile solidità del sistema cabalistico”, nei termini di un “hegelismo assoluto, né di destra né di sinistra” di cui francamente mi sfugge il significato. Prima di tutto perché la Qabbalah non è un sistema, in quanto molte sono le Qabbalah e molti i cabalisti, le cui posizioni, dal lato della metafisica, sono spesso assolutamente divergenti se non addirittura contrapposte tra loro. La Qabbalah alla quale ho inteso riferirmi è quella storicamente più antica, quella che faceva capo a Isacco il Cieco [Provenza, 1160-1235], per il quale ogni trascendenza [Uno e Zero, Essere e Nulla, Assoluto] è indicibile per il semplice motivo che tutto ha inizio con il due e con la manifestazione. Mutatis mutandis, tale argomentazione si ritrova più nell’impostazione di Sartre che in quella di Heidegger e, soprattutto, di Hegel.


sergio magaldi

1 commento:

  1. Caro Sergio, solo alcune precisazioni che il tuo articolo mi ha indotto a pensare doverose ritenendo di non essermi spiegato bene, ma anche in risposta a nuovi stimoli che hai brillantemente fornito.
    Riguardo al problema dell'uomo in Heidegger, ti chiedi se l'assoluta priorità che egli attribuisce all'Essere rispetto all'Esserci faccia del suo Essere qualcosa di meno umano, meglio, di subordinante l'umano, rispetto ad altre concezioni; e se per questo rischi davvero, come hai suggerito, di diventare, il suo, un Essere dai connotati religiosi o simili. Il tema è certamente ampio, volumi interi potrebbero tentare, senza certezza di riuscita, di sviscerarlo; si consideri però per esempio il fatto che Heidegger sia stato tra i primi pensatori ad inquadrare la dimensione disumanizzante della tecnica come estrema figura dell'Ente ridotto a presenza calcolabile. E da Heidegger Vattimo si è mosso per elaborare quello che si è battezzato, non sarà un caso, "pensiero debole". Tutto ciò, oltre, ancor di più, al ripiegare di Heidegger sui poeti e su un meditare che si rifà al loro, al non fornire da parte propria una spiegazione analitica dell'Ereignis, dice da solo, mi pare, quello che Heidegger non disse: che il suo non è, non poteva esserlo, non fu mai più, un pensiero veementemente assertivo. L'Essere-per-la-morte dell'Esserci è apertura del progetto, il Nulla non è, come in Sartre, un'assenza che si annida nell'uomo potenziale nullificatrice. Quanto alla lontananza delle meditazioni di Heidegger da spunti religiosi, egli si espresse chiaramente sino ad apparire quasi un ateo, salvo poi suggerire, in termini poetanti (di nuovo la poesia) ed evocativi, quasi profetanti, peraltro suggestivi, ma di fatto perfino a Vattimo (per ammissione che mi fece) incomprensibili, un certo ultimo Dio. Ma, in effetti, il punto, almeno che io sappia, non è mai stato chiarito, salvo forse che per il fatto che "ultimo" starebbe più per "ulteriore" che per "finale".
    ad ogni modo, la questione dell'uomo l'hai, in modo certo legittimo, introdotta tu, io notavo semplicemente che un Essere inteso come presenza, da parte di un Sartre che ci risulta pure aver letto Heidegger, richiedeva chiarificazioni ulteriori o poteva parermi un concetto piuttosto rozzo.
    In secondo luogo, quando ho parlato di Kant e dell'Idealismo Tedesco avevo già abbandonato il punto sull'Essere e mi stavo dedicando ad un'altra questione che mi era successo mi affascinasse, la tensione all'unificazione come tensione all'Assoluto. Avevo comunque specificato che in quel senso poteva essere qualcosa di molto diverso da ciò che intendevi tu, però notavo delle assonanze, come a dire che in forme diverse l'uomo, il filosofo è sempre stato animato da una sete di riunificazione, che poi, così almeno ho capito, tu esprimevi in un modo altrettanto interessante, degno d'un qualche approfondimento.
    Ti ringrazio della riflessione che, insieme, mi hai dato modo di affrontare.

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