mercoledì 23 dicembre 2015

IRRATIONAL MAN




 Se l’irrazionale, nel film di Natale dello scorso anno [La filosofia di Woody Allen in Magic in the Moonlight, clicca sul titolo per leggere] era rappresentato da Woody Allen come una possibile e tuttavia improbabile categoria dello spirito per dare senso a una realtà che non ne ha, l’ultimo lavoro del grande regista newyorchese fa camminare l’irrazionale sui piedi di un professore di filosofia di un college [Abe Lucas, interpretato da un Joaquin Phoenix ingrassato di 15 chili per interpretare la parte], alcolista, depresso, angosciato e temporaneamente impotente. Quali le cause? Forse nel suo passato, forse nella presa di coscienza che gli fa dire a proposito del suo nuovo saggio su Heidegger: "Non riesco a scrivere, non riesco a respirare, non riesco a ricordare le ragioni per vivere. E, quando lo faccio, non sono convincenti".

 Il professore snocciola agli allievi pillole di storia della filosofia, citando Kant e poi Heidegger, Kierkegaard, Sartre. L’esempio che il docente di filosofia fa dell’imperativo categorico kantiano ricorda, mutatis mutandis, quello che Sartre fa in L’Esistenzialismo è un umanismo. Per entrambi, si rivela impraticabile perché contraddice se stesso. Che fareste – chiede il prof agli studenti – se i nazisti entrassero nello stabile dove abitate e vi chiedessero dove si nasconde Anna Frank? Sapendolo cosa rispondereste? Consegnereste Anna ai suoi aguzzini per non dover mentire e violare la morale kantiana che condanna la menzogna? E Sartre nel libro sopra richiamato [frutto di una conferenza tenuta al Club Maintenant di Parigi nel 1945] cita il caso di un suo allievo venuto a chiedergli consiglio: doveva arruolarsi nelle Forze Francesi di Liberazione per vendicare il fratello maggiore ucciso dai nazisti e soprattutto nell’interesse del popolo francese oppresso dall’occupazione tedesca, o restare accanto alla madre, rimasta sola con il suo dolore e che aveva bisogno di lui? La morale kantiana non lo avrebbe aiutato a scegliere: sostiene di dover trattare gli altri sempre come fine e mai come mezzo. Ma scegliendo, chi dei due avrebbe trattato come mezzo? La madre o il popolo francese?

 In realtà, entrambi gli esempi offrono una lettura soltanto parziale di Kant, perché non tengono conto dell’universalità dell’imperativo categorico: nel primo caso non rivelerò il nascondiglio di Anna Frank perché mi renderei complice di assassini che hanno programmato lo sterminio degli innocenti, e nel secondo, citato da Sartre, se decidessi di restare accanto a mia madre, implicitamente sceglierei che nessuno entri a far parte della Resistenza, sulla base di motivazioni che, per quanto nobili, hanno solo valenza individuale.

 In virtù di questo e di altri esempi, il professor Abe Lucas conclude con gli studenti che “esiste una differenza tra un mondo teorico di stronzate filosofiche e la vita vera”. Battuta non nuova nei film di Woody Allen, per compiacere e far sorridere il grosso pubblico, ma che è anche l’espressione del suo amore-odio per la filosofia.

 Di Abe si innamorano ben presto  la collega Rita Richards [Parker Posev] che è in crisi con suo marito, e l’allieva Jill Pollard [Emma Stone], benché già innamorata di Roy [Jamie Blacklev], il suo ragazzo. Torna qui l’attrice protagonista di Magic in the Moonlight, in una dimensione altrettanto romantica, ma con un rovesciamento di prospettiva, esattamente come per il protagonista maschile del film dello scorso anno. Lì, un gentiluomo inglese [Colin Firth], civettando per gioco con l’irrazionale, sostiene il primato della razionalità, mentre Emma Stone, fingendo di conoscere l’alfabeto del soprannaturale, crede in realtà nella magia dell’amore come nell’unica vera forma di irrazionale.

 Qui, il professore è immerso in una razionalità che lo travolge e che ha spento in lui ogni desiderio di vivere e solo quando, per futile casualità, assume una condotta irrazionale, torna a sentirsi vivo e alla sua potenza virile. Al contrario, Emma Stone, nei panni di Jill, la studentessa innamorata, è ricondotta alla ragione quando scopre che “le puttanate” dell’esistenzialismo francese del dopoguerra, con i suoi filosofemi sulla libertà e sulla scelta, hanno precipitato il suo amante nell’abisso. Alla romantica conclusione di Magic in the Moonlight, si sostituisce qui un finale tragico che solo il ricordo di un film di Dino Risi [Il vedovo, interpretato da Alberto Sordi] rende almeno sarcastico.

 Non sono d’accordo con Davide Turrini che su Il Fatto Quotidiano del 18 Dicembre demolisce Irrational Man. Non credo si tratti di un “film inesistente” e/o di un raschiare sul “fondo di un barile drammaturgico costruito nel tempo” e neppure che le voci narranti di Jill e di Abe finiscano con l’accavallarsi. È vero, d’altra parte, che molti “ingredienti” di questo nuovo film di Woody Allen, siano ripresi dal suo repertorio, ma questo può valere quasi per ogni film del regista newyorchese.    

 C’è il tema dell’amore tra l’allieva e il professore, tra la ragazzina e l’uomo maturo, come in Mariti e Mogli [1992] o soprattutto come in Manhattan [1979]. Anche qui, come in Irrational Man, è la giovane ad innamorarsi e il professore sembra restio a lasciarsi andare sulla base di considerazioni razionali e di buon senso. C’è però una differenza di fondo: tutti ricorderanno il finale di Manhattan quando Isaac Davis [Woody Allen], l’autore televisivo di 42 anni, torna da Tracy [Mariel Hemingway], la liceale che lo amava e che lui ha abbandonato. Ora è Isaac ad accorgersi di non poter fare a meno di lei e benché ormai Tracy sia in procinto di partire per Londra, la speranza di un futuro insieme è più che una promessa. Qui, invece, non solo Abe ricambia l’amore di Jill solo grazie alla ritrovata virilità - conseguenza di una scelta irrazionale - che del resto lo porta a fare l’amore contemporaneamente con Jill e con la collega Rita Richards, ma è l’amore stesso a mutarsi ben presto in disamore. E la suspense di un finale da film giallo ripercorre la strada di altri lavori [Crimini e misfatti, Match Point, Sogni e delitti], forse con minore efficacia ma con significative varianti: manca qui ogni rimorso, l’onestà è più forte dell’amore e la ragione ha la meglio su qualsiasi forma di irrazionale, amore compreso. 

 Nessun “raschiamento del barile”, dunque, da parte di Woody Allen, ma continuità di un discorso che accende la curiosità di sapere come potrà proseguire. Lascia, invece, un po’ di amaro in bocca non ritrovare i proverbiali motti di spirito cui il grande regista ci ha da tempo abituati. L’argomento trattato, più drammatico di quello che sembri in apparenza, probabilmente ne sconsigliava l’uso. Di sicuro non è questione di senilità [gli 80 anni appena compiuti]: già in un film di circa trent’anni fa [Another Woman] mancava questo aspetto che, fuori di dubbio, ha contribuito ad alimentare la fama di Woody Allen presso il vasto pubblico.

 sergio magaldi


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