mercoledì 18 maggio 2016

IL NOACHISMO ALLA FONTE DEI DIRITTI UMANI [2° I precetti noachidi]

Noahide Laws/Noachide Code
  1. Prohibition of Idolatry
  2. Prohibition of Murder
  3. Prohibition of Theft
  4. Prohibition of Sexual immorality
  5. Prohibition of Blasphemy
  6. Prohibition of eating flesh taken from an animal while it is still alive
  7. Establishment of law courts
"Whereas Congress recognizes the historical tradition of ethical values and principles which are the basis of civilized society and upon which our great Nation was founded; Whereas these ethical values and principles have been the bedrock of society from the dawn of civilization, when they were known as the Seven Noahide Laws." -United States Congress


 Oltre a Non uccidere e a Non cibarsi di un animale vivo, dei quali si è già accennato, gli altri quattro precetti noachidi, cosiddetti negativi, perché impongono all’umanità cosa non fare, hanno come i primi due una evidente radice biblica: Non avere rapporti sessuali illeciti discende dalle lettere del Tetragramma – rappresentative dell’origine maschile e femminile di ogni realtà manifesta – e dalla conseguente sacralità del matrimonio tra l’uomo e la donna affermata in Genesi, 2,22-24, allorché nell’ultimo versetto è detto:”Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre [con chiaro riferimento al divieto di accoppiamento all’interno della famiglia, cioè al divieto di incesto] e si unirà alla sua donna e i due diverranno una sola carne”. La sacralità dell’unione non comporta tuttavia l’indissolubilità del matrimonio. Osserva giustamente in proposito Elia Benamozegh [1823-1900] – l’ebreo livornese che molto contribuì alla diffusione del Noachismo – : “Che l’uomo non debba separare quel che il Signore ha unito, è indubbio, ma la questione è di sapere che cosa il Signore ha unito o […] quel che l’uomo può veramente considerare come la sua metà. Se egli la incontrasse sempre e immancabilmente nell’unione coniugale, si dovrebbe dire che sciogliere questa equivarrebbe andare contro la Volontà divina, ma poiché non è necessariamente così, e poiché le coppie non sono sempre bene assortite, si può sostenere che è invece per unire ciò che il Signore ha unito che talvolta è indispensabile ricorrere a questa separazione” [E. Benamozegh, Israele e l’Umanità, trad.it., M.C. Morselli, Marietti, Genova, 1990, p.230. L’opera nell’originale francese fu pubblicata postuma, nel 1914, da Aimé Pallière, allievo di Benamozegh. La prima edizione italiana apparve solo 75 anni più tardi].

 Esemplificativa a questo riguardo è la vicenda biblica di David e Betsabea, ripresa e analizzata dal cabbalista spagnolo Joseph ben Abraham Gikatilla [1248-1325] in Il segreto del matrimonio di David e Betsabea.

 La sacralità dell’unione tra il maschio e la femmina comporta altresì che questo precetto noachide comprenda anche l’obbligo di preservare l’integrità fisica del maschio [sia umano che animale], evitandone la castrazione, come del resto quella della femmina, condannando la pratica di ogni forma di infibulazione.

 Non commettere furti, un’altra delle sette leggi noachide, ha la sua fonte nei versetti 16 e 17 del Genesi, allorché il Signore concede ad Adamo di nutrirsi di tutti gli alberi del giardino, ma gli vieta di accostarsi ai frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male. Come ogni precetto noachide, anche questo ha un’estensione che include altri divieti. Scrive in proposito Benamozegh [op.cit.,p.235]:”Il furto propriamente detto non è tuttavia la sola forma di appropriazione colpevole che sia interdetta al noachide. Va da sé che ogni rapina o furto a mano armata non è che un’aggravante dello stesso crimine […]. Si renderebbero altresì colpevoli di furto il padrone che rifiutasse di pagare al servitore il salario del suo lavoro, l’operaio che, durante le ore di riposo nelle vigne, mangiasse l’uva del proprietario. Pure il commercio degli schiavi è compreso nel divieto di furto. È superfluo notare quanto sia ammirevole questa formale condanna della schiavitù, in una tale epoca e in tale ambiente”. Vale la pena di specificare che l’ammirazione di Benamozegh, relativa alla condanna della schiavitù, si riferisce al commento talmudico [Sanhedrin, 57b] del precetto noachide.

 Non commettere idolatria è la norma che più di ogni altra trova la sua fondazione nel racconto biblico, perché si basa sui principi stessi del monoteismo e sui comandamenti del Signore ad Adamo, Noè, e Mosè. Ad ogni buon conto, la prima condanna esplicita dell’idolatria compare in Genesi 35,2, nell’esortazione che Giacobbe rivolge a tutti gli uomini del suo seguito: «Togliete gli dei stranieri che sono in mezzo a voi». Ma il tema ricorre in numerosi altri passi biblici: “Non ti fare scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù ne’ cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra; non ti prostrare dinanzi a tali cose e non servir loro […]” (Esodo 20, 4-6), “Ma il nostro Dio è nei cieli […] I loro idoli sono argento ed oro, opera della mano dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno naso e non odorano, hanno mani e non toccano, hanno piedi e non camminano, la loro gola non rende alcun suono […]” (Salmo 115,3-8). L’elenco è ancora lungo, ma conviene soffermarsi su un aspetto del precetto, forse troppo poco considerato. E lo faccio con le parole stesse di Benamozegh: “Ci affrettiamo ad aggiungere tuttavia – egli scrive – che la religione noachide è infinitamente più larga su questo punto rispetto all’ebraismo propriamente detto. Mentre l’unità più esclusiva è rigorosamente imposta ad Israele, senza alcuna possibile associazione di altri esseri divini, perlomeno nell’adorazione, si ritiene invece che il gentile, purché non riconosca e non adori che un solo Dio supremo, non commetta peccato se, nel suo culto, associa al vero Dio altre divinità” [Op.cit., p.225]. Il rovescio della medaglia di questo precetto e insieme di quello che segue rappresenta in nuce il principio della tolleranza religiosa che in Occidente si affermerà sono nel XVII Secolo.

 Con il comandamento di Non bestemmiare termina il discorso sui sei precetti negativi del noachide. È appena superfluo sottolineare che questo divieto si collega al precedente, anche se il Talmud ne fa derivare la fonte da un versetto del Levitico [24,15]:”Ogni uomo che maledirà il suo Dio, porterà la pena del suo peccato”. Ciò significa che la legge noachide proibisce di bestemmiare non soltanto i nomi di Adonai, ma anche quelli delle diverse divinità del passato e del presente, nelle quali è dato comunque rintracciare gli sparsi frammenti del divino.

 Accanto ai precetti negativi, l’unico precetto positivo imposto al noachide è quello di Costituire tribunali, ciò che rappresenta anche la logica conseguenza degli altri sei, ma è anche e soprattutto la garanzia di distinguere la condanna morale da quella giuridica, e di essere giudicati con giustizia ed equità in forza della certezza del reato e non sulla base di semplici prove indiziarie o, peggio ancora, per ragioni faziose e/o politiche. Un principio che a noi pare scontato e che tuttavia scontato non è perché implica l’affermazione dei principi del liberalismo e della democrazia che, com’è noto, trovarono una prima attuazione solo in epoca moderna, con la Petition of Right che nel 1628 il Parlamento Inglese invia al re Carlo I. Promossa da Sir Edward Coke, la Petizione contiene  quattro principi di cui il secondo, ribadendo un’affermazione già contenuta nella Magna Charta, nota come “habeas corpus”, stabilisce che nessuno possa essere imprigionato senza una prova certa. Com’è noto, occorrerà ancora attendere le due rivoluzioni inglesi, l’illuminismo, la rivoluzione americana e la rivoluzione francese perché nella Storia entri a pieno titolo il discorso sui diritti umani e di questa azione riformatrice e rivoluzionaria saranno protagonisti molti massoni illuminati. Si comprende così perché James Anderson, nelle Costituzioni massoniche del 1738, sostenesse che il Noachismo aveva contribuito al perfezionamento dei liberi muratori.

 Nei sei precetti negativi (divieti di bestemmia e idolatria, divieti di natura sessuale, divieti di disporre della vita e della proprietà altrui, divieto di crudeltà nei confronti degli animali) e nell’unico precetto positivo (istituzione dei tribunali di giustizia), di cui si compone il biblico patto noachide, si intravedono, dunque, i principi del moderno giusnaturalismo, fondamento del liberalismo e della democrazia. Se si prescinde dal loro riferimento mitopoietico e teologico, ci si accorge che i precetti noachidi sono innanzi tutto norme di diritto naturale condivisibili per tutte le fedi religiose, semplicemente perché non hanno in se stesse nulla di religioso e persino quel riferirsi al divieto di bestemmia e di idolatria, lungi dal rappresentare una qualche forma di “costrizione” teologica, esprimono piuttosto il principio della tolleranza religiosa e l’invito alla ragione umana di non abbassarsi ad adorare feticci.

 Proprio come i principi del diritto naturale, i sette precetti noachidi si caratterizzano, per così dire, per la loro elasticità e quindi per la loro capacità di evolversi e al tempo stesso restare immutabili, come già ricordava l’ebreo Benamozegh al cattolico e discepolo Pallière. Così, per esempio, dal divieto di uccidere discende il precetto positivo di salvare una, cento, mille vite, come fecero coloro che, a buon diritto, nel triste e funesto tempo dell’olocausto, furono detti giusti tra le nazioni. 


sergio magaldi

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