mercoledì 22 giugno 2016

GLI ERRORI DI MATTEO RENZI




   Coreografia semplice ma efficace per salutare la vittoria dei Cinque Stelle: Virginia Raggi a mezzo busto sullo sfondo di Roma antica, indossando una sorta di tunica bianca vagamente cristica [in realtà una lunga camicia], con i capelli neri che le sfiorano le spalle e che scuote di continuo per le pose dei fotografi. Beppe Grillo che si affaccia dall’hotel Forum della capitale, sollevando le braccia al cielo e recando appeso al collo della camicia un comune appendino, simbolo dell’inattesa vittoria di Torino. E, in effetti, se la vittoria di Roma era quasi scontata e il voto massiccio degli elettori delle liste di destra [Meloni: 86% il flusso elettorale a favore della Raggi] e di centrodestra [Marchini: 67% del flusso] si aggiunge semplicemente, portando alla candidata M5S circa 350.000 voti in più di quelli presi il 5 Giugno, più che raddoppiando i voti di Giachetti; a Torino, dove Chiara Appendino prende oltre il 20% in più dei voti del primo turno, la scelta degli elettori di centrodestra è stata determinante per battere Fassino. Insomma il “Tutti contro Renzi” ha funzionato e potrebbe funzionare ancora nel futuro, anche se Sallusti scrive oggi su Il Giornale che Beppe Grillo “prende i voti di centrodestra e scappa”, non ricambiando il favore né a Milano né a Bologna dove il ballottaggio vedeva i candidati di Lega e Forza Italia in lizza contro quelli del centrosinistra. L’analisi di Sallusti per la verità è approssimativa, perché stando ai flussi elettorali, risulta che a Bologna un certo numero di elettori pentastellati abbia effettivamente votato per Lucia Borgonzoni della Lega, consentendole di raggiungere una percentuale che, se non l’aiuta a vincere, è però di tutto rispetto [45,35%]. Il fine di Sallusti è in realtà quello di sottolineare la distanza incommensurabile che c’è tra Centrodestra e M5S: i grillini, a suo giudizio, sono assistenzialisti [reddito di cittadinanza anche per i fannulloni] e per nulla liberali, dicendo di no a tutte le iniziative in grado di muovere l’economia del Paese [No-tav, no-Olimpiadi, no-stadio ecc…], sono moralisti e giustizialisti soprattutto con gli altri, e predicano la “decrescita felice”. Di segno opposto è invece il giudizio che della vittoria dei Cinque Stelle dà Matteo Renzi. Non solo, egli non chiama in causa l’apporto di destra alla vittoria pentastellata, esclude anche trattarsi di un voto di protesta, riconoscendogli invece la volontà del cambiamento. Insomma, Renzi non vede nel M5S un movimento alternativo, ma concorrenziale. Il problema nasce, tuttavia, quando dalle analisi si passa ai propositi, laddove questi sembrano orientati a riprendere la rottamazione all’interno del suo partito, in luogo di proporla finalmente nei confronti delle burocrazie, delle banche e delle corporazioni che, vuoi per tradizionale inefficienza, vuoi per privilegi di casta, impediscono il reale sviluppo del Paese. Avrà Renzi la forza per esaminare, almeno nel privato, le vere ragioni di questa sconfitta che fa perdere al PD ben 13 capoluoghi a fronte dei 3 guadagnati e altri 42 comuni contro i 17 di nuovo insediamento? Personalmente non credo che l’ascesa dell’ex sindaco di Firenze [41% nelle elezioni europee del 2014] abbia messo la marcia indietro a causa dell’Italicum, della Riforma Costituzionale o del Jobs Act. Sostenerlo, significa essere in malafede, perché chi ha sempre osteggiato queste misure non avrebbe comunque votato per il PD. L’appannamento o addirittura la caduta del mito di Renzi ha secondo me ragioni più semplici.

 Prima e dopo aver tirato fuori dal cilindro, in prossimità delle elezioni europee, ottanta euro mensili per i redditi più bassi e di questa “misura di sinistra” aver fatto ossessivamente il proprio fiore all’occhiello, Renzi fa tabula rasa di una sinistra interna da tempo sterile e velleitaria. Rottama all’interno del suo partito dirigenti vecchi e nuovi ex DS, ex PCI, e solo chi si adegua alla nuova politica è lasciato sopravvivere con funzioni decorative. Con molti è facile, ma non tiene in giusto conto un personaggio che un giorno potrebbe fargliela pagare, rifiutandogli un prestigioso incarico europeo, dopo - a quanto pare - averglielo promesso, e con ciò commette il primo errore strategico. Renzi poco se ne cura, perché il decisionismo, il dinamismo e la spregiudicatezza gli attirano le simpatie di parte dell’elettorato di centrodestra, già favorevolmente orientato nei suoi confronti anche per via dei passati endorsement di Berlusconi. Stringe il Patto del Nazareno per una giusta causa [una nuova legge elettorale e la fine del bicameralismo perfetto], è “sbranato” a sinistra, ma procede imperterrito, perché ha capito che le maggioranze in Italia si fanno con i voti del centrodestra. Quando però qualcuno avverte Berlusconi che, di quel passo, Lega e PD risucchieranno l’elettorato di Forza Italia,  il Patto si rompe e Renzi è costretto a navigare in mare aperto. L’errore non consiste nell’aver stipulato il famoso Patto, voluto anche da Napolitano per mettere fine, dopo trent’anni che se ne parla, al bicameralismo perfetto, ma nel fornire a Berlusconi un alibi per la rottura, eleggendo da solo, con un capolavoro politico che presto gli si torcerà contro, il nuovo presidente della Repubblica. E da questo momento, da quando si mette a fare il democristiano [lui che lo è per cultura dei padri ma non per indole e atteggiamento, tant’è che in un recente passato rimproverò a Letta le sue “democristianerie”], i suoi errori non si contano più. Credendo di aver sfondato nell’elettorato di centrodestra, che l’ha sempre guardato con simpatia, vagheggia il partito della nazione, cioè un PD tipo “balena bianca”, con percentuali elettorali superiori costantemente al 40%. Cambia anche il suo modo di comunicare: non appare più concorrenziale rispetto ai Cinque Stelle, si circonda di personaggi mediocri ancorché di provata fedeltà, e annuncia solennemente misure che si rivelano insignificanti o “fastidiose” per la borghesia piccola e media: la riforma fiscale, di cui in Italia si parla da almeno vent’anni, si riduce al 730 precompilato di Equitalia. Per ottenerlo, il cittadino deve compiere una vera e propria maratona informatica: dopo aver faticosamente e quasi miracolosamente ottenuto il cosiddetto pin dispositivo, con un po’ di fortuna il contribuente può vedere finalmente apparire sul desktop pc il famoso modello precompilato, fatto più di parole che di cifre, e quando finalmente gli riesce di far apparire i numeri, si accorge che è incompleto in molte sue parti e che deve ricominciare da capo, come nel gioco dell’oca. L’alternativa è recarsi presso un sindacato e presentare lì la propria dichiarazione dei redditi, solo che ora deve pagare, mentre prima la semplice presentazione era gratis. Con astuzia di bottegaio, Renzi riesce dove nessun governante prima di lui era mai riuscito: far pagare l’abbonamento TV a tutti gli italiani, inserendo il balzello nelle già esose bollette dell’energia elettrica, laddove molti cittadini si sarebbero aspettati da lui la liberalizzazione della Rai e la fine del pagamento del canone a vantaggio di un’azienda pubblica dove gli sprechi, l'assenteismo e il debito sono la regola. D’ora in poi, come un sole al centro dell’universo, fa espandere la propria luce sui pianeti di destra e di sinistra che s’illude di conoscere bene. Alla destra regala l’abolizione dell’odiosa tassa [IMU] sulla casa di abitazione, restaurando il dono di Berlusconi, alla sinistra [ma a quale sinistra?] la legge sulle unioni civili che vuole l’Europa, ma che gli aliena parte del voto cattolico e la benevolenza della Chiesa, che non piace all’elettorato di centrodestra e non accontenta neppure il popolo gay che avrebbe voluto via libera al matrimonio vero e proprio e alle adozioni. Una legge peraltro giusta nello spirito, ma incostituzionale perché discrimina gli eterosessuali: solo il vedovo della coppia gay e non quello dell’unione eterosessuale avrà diritto alla pensione di reversibilità, per gli etero c’è il matrimonio, che si sposino dunque! Il contrario sarebbe stato troppo per la chiesa cattolica e per le casse dello stato! E ancora: la miniriforma Renzi-Giannini, della cosiddetta buona scuola, che non intacca minimamente l’odiata Riforma Gelmini ma ha la pretesa, per così dire, di stabilizzare il tradizionale voto al PD degli insegnanti. Con mance per i docenti ritenuti meritevoli e l’assunzione in pianta stabile di circa centomila precari, con l’ulteriore proletarizzazione del personale insegnante, sulla scia dei governi degli ultimi cinquant’anni, differenziandosi solo per il massiccio numero di nuove immissioni, giustificato dall’esigenza di mettere un freno alla girandola delle supplenze che danneggia studenti e famiglie, e motivato da un calcolo elettorale rivelatosi errato: molti docenti avrebbero preferito insegnare come precari nella scuola vicino a casa, piuttosto che essere trasferiti come docenti di ruolo da una parte all’altra dell’Italia, stante anche l’equivalenza o addirittura la minore retribuzione [già di gran lunga inferiore alla media europea] almeno nei primi anni del ruolo. Se a queste misure, talora e in un certo senso persino lodevoli, ma attuate all’insegna dell’impopolarità, si aggiunge l’eccessiva personalizzazione che Renzi mette nella pratica di governo, il malgoverno e la corruzione di molte amministrazioni governate dal suo partito, una cattiva burocrazia che, per aver fatto male i suoi calcoli, costringe ora alcuni cittadini alla restituzione dei famosi ottanta euro mensili, si comprende il calo dei consensi a sinistra da parte del PD. Quanto alla perdita più consistente dei voti dell’elettorato di centrodestra, che aveva votato il PD nelle elezioni europee solo per scommettere su Renzi, se ne percepisce ancora più facilmente la causa: la rottura del Patto del Nazareno, la legge sulle unioni civili e soprattutto una politica giudicata imbelle nei confronti dei migranti.

 A questo punto, il “Tutti contro Renzi” che già viene rilanciato per il referendum costituzionale di Ottobre, si presta a molte riflessioni. Per disinnescare l’alleanza indiretta M5S-Centrodestra, c’è chi consiglia [la minoranza PD e gran parte di Forza Italia] di modificare la legge elettorale, spostando il premio di maggioranza dalla lista alle coalizioni. Così facendo, Renzi si assicurerebbe forse la vittoria nel referendum, ma darebbe prova di debolezza e di scarsa coerenza, senza essere sicuro neppure di vincere le lezioni del 2018. Ma il paradosso più divertente è il massiccio impegno annunciato dal M5S  per il No al Referendum, quando proprio il Sì, con il mantenimento dell’Italicum così com’è, gli darebbe molte probabilità di vincere le elezioni. Si preferisce invece far cadere Renzi, con le riforme costituzionali e la nuova legge elettorale, con la speranza che il caos politico che ne seguirebbe finirebbe per favorire l’ascesa dei pentastellati al potere. Illusione: nel PD, nel caso prevalesse il No al Referendum, sono già pronte alternative moderate e dialoganti con il centrodestra, per un nuovo governo delle larghe intese che metta nell’angolo tanto la Lega di Salvini che i Cinque Stelle.


sergio magaldi  

Nessun commento:

Posta un commento