martedì 26 luglio 2016

INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA QABBALAH [Parte Prima]





 Introduco di seguito un glossario essenziale, per lo più alfabetico, utile per orientarsi tra termini e concetti nei quali lo studente si imbatterà quasi subito nell’accostarsi alla Qabbalah. Talora, come nel caso delle due prime voci in elenco e non solo, l’informazione è redatta attingendo direttamente dai testi della Qabbalah; in tal caso viene riportato in parentesi il paragrafo di riferimento dell’opera citata. La versione italiana è tratta in gran parte da Mistica Ebraica, Einaudi, Torino, 1995. La grafia originale delle lettere che compongono le parole ebraiche è stata omessa e sostituita dalla traslitterazione italiana, perché il relativo font ebraico non è sempre presente nel pc dei lettori.

Acqua e Fuoco
Gli elementi della tradizione empedoclea si trovano spesso citati insieme. Così in particolare per Acqua e Fuoco: “…Il Signore, benedetto Egli sia…A che cosa si può paragonare? A un re che desiderava costruire il proprio palazzo su rocce dure: tagliò i massi e fendette le pietre finché sgorgò davanti a lui una grande sorgente di acque vive. Egli disse allora: poiché dispongo di acqua sorgiva, pianterò un giardino, per trarne diletto insieme al mondo intero” (Sepher Bahir, 5). “Che cosa significa la benedizione? E’ simile a un re che piantò alberi nel proprio giardino: benché cadesse la pioggia e venisse assorbita, e il terreno ne fosse sempre umido e impregnato, nondimeno egli dovette attingere a una fonte…” (6). “Il vero significato di Hiriq è Harak, il bruciare, poiché è un fuoco che brucia tutti i fuochi, com’è scritto: Allora cadde il fuoco del Signore e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la polvere e prosciugò l’acqua che era nel canale(I Re 18.38)” (44). “La voce del Signore intaglia lingue di fuoco(Sal.29.7): quando mette pace tra l’acqua e il fuoco, sprizza la forza del fuoco e le impedisce di annientare l’acqua, mentre impedisce a questa di spegnere il fuoco” (45). “Non vi furono forse le acque, e da esse uscì il fuoco? Gli risposero: è quanto tutti dicono. Se è così, le acque racchiudono il fuoco”(188). Si confrontino 45 e 188 con la massima ermetica: “Qui scit comburere aqua et lavare igne facit de terra caelum et de caelo terram preziosa”: ‘Chi sa bruciare con l’acqua e lavare col fuoco fa della terra il cielo e del cielo la terra preziosa’).
“Dal cielo ti fece ascoltare la sua voce per ammonirti e sulla terra ti mostrò il suo grande fuoco, e tu ascoltasti le sue parole di mezzo al fuoco(Deut.4. 36). Che cos’è questo grande fuoco…? “(46). “Ci hai insegnato, o nostro maestro, che Egli prese le acque e le divise: ne pose metà nel firmamento e metà nel mare oceano; questo è il significato di quanto è scritto: il ruscello di Dio è pieno d’acqua. Per mezzo di questa l’uomo apprende la Torah… com’è scritto: Orsù, voi tutti assetati, venite all’acqua! Anche chi non ha argento…”(51). “Che cosa significa shamayim, ‘cielo’? Ci insegna che il Santo, sia Egli benedetto, impastò fuoco ed acqua, e li stese l’uno nell’altro, e con essi fece il principio della propria parola, com’è scritto: Il principio della tua parola è verità (Sal.119.160). Ecco infatti che è scritto shamayim, ovvero sham-mayim: ‘là è acqua’; esh e mayim, fuoco e acqua” (59). “E cosa significa Mem? Non leggere Mem ma mayim, acqua. Come l’acqua è umida così il ventre è sempre umido. E perché la mem aperta è composta dal maschio e dalla femmina, mentre quella chiusa consta solo del maschio? Per insegnarti che il fondamento della mem è il maschio, mentre la sua apertura è stata aggiunta a significare la femmina. Come il maschio non può generare senza l’apertura, così la mem chiusa non può generare se non con la mem aperta. Come la femmina genera attraverso la propria apertura, così avviene per la mem aperta e chiusa” (85). Seconda lettera madre dell’alfabeto ebraico, la Mem è scritta nel suo ‘riempimento’ con la consonante che si ripete due volte: una Mem aperta iniziale e una Mem chiusa finale. Rabbi Aqiva (Alfabeto di Rabbi Aqiva) dice che Dio, quando siede sul Trono di Gloria, si pone ai lati le due lettere e le riconcilia esclamando che il suo Regno è chiamato per mezzo loro, allora l’intero firmamento si inginocchia al cospetto del Signore. Mayim [Mem-yud-mem] significa acqua e si scrive con le due lettere separate da una Yud, simbolo dello Spirito divino che le prende per mano e le riconcilia. Acqua di sorgente che scorre o fontana sigillata, la Mem aperta allude alla manifestazione di Dio mentre quella chiusa rimanda al mistero che è in Lui..
 Che cos’è la quinta? la quinta è il grande fuoco del Santo, sia Egli benedetto… E’ la sinistra del Santo… (145). Ci si riferisce qui alla quinta Sephirah dell’Albero, Gevourah (rigore). E’ detto infatti che Dio governa il mondo con Benevolenza (Chesed, la quarta Sephirah) e con Rigore

Albero e Giardino
 In proposito vedi i già citati (5 e 6) paragrafi del Sepher Bahir e inoltre: “Io sono colui che ha piantato questo albero, affinché tutto il mondo ne tragga diletto; ho fissato tutto in esso, e l’ho chiamato tutto, giacché da esso tutto dipende e da esso tutto deriva. Tutti ne hanno bisogno, lo scrutano e lo attendono: da esso si propagano le anime superiori in letizia” (22). “Da quanto affermi apprendiamo che il Santo, sia Egli benedetto, creò quanto era necessario a questo mondo prima di creare il cielo? Sì, gli rispose. A che cosa si può paragonare? A un re, che voleva piantare un albero nel proprio giardino. Ispezionò tutto il giardino per sapere se vi fosse una fonte d’acqua sorgiva, che potesse sostentarlo. Non la trovò, e disse: Scaverò fino a trovare l’acqua e farò scaturire una fonte, affinché l’albero possa sopravvivere. Scavò e fece scaturire una fonte abbondante d’acqua viva: piantò quindi l’albero, che attecchì e fece frutto, giacché le sue radici lo ristorarono sempre con l’acqua della fonte” (23). “Come in shoresh , radice, la Shin è simile alla radice dell’albero, e la Resh indica che ogni albero è ritorto. Qual è la funzione della seconda Shin ? Ti insegna che se prendi un ramo e lo pianti mette radice a sua volta” (81). “E perché sono in numero di 32? A che cosa si può paragonare? A un re che aveva un bel giardino, con 32 sentieri. Mise un guardiano a custodire quei sentieri, e a lui solo li svelò. Gli disse: Custodiscili, e percorrili ogni giorno: ogni volta che li percorrerai, la pace sarà con te. Cosa fece quel guardiano? Mise altri guardiani a custodirli, giacché si disse: Se sarò solo in quei sentieri, mi sarà forse possibile, unico custode, mantenerli tutti? Inoltre la gente dirà: quel re è un avaro! Per tale motivo questo custode pose altri custodi a guardia di ogni sentiero: questi sono i 32 sentieri” (92). “Il guardiano disse: Che questi custodi non dicano che il giardino è mio!…Al re appartiene il giardino. Egli ha stabilito questi sentieri… A che si può paragonare? A un re e alla sua figliola che avevano alcuni servitori: questi volevano recarsi lontano, ma temevano l’ira del re. Il re diede loro il proprio segno: ebbero allora timore della figliola, finché anch’essa diede loro il proprio segno. Questi si dissero: adesso con questi 2 segni, il Signore ti guarderà da ogni male, guarderà la tua anima (Sal.121.7)” (93).36 in tutto…Tutti e 36 si trovano nel primo, il drago. Il Santo, sia Egli benedetto, possiede un albero che racchiude le frontiere delle 12 diagonali… che s’ampliano e procedono all’infinito: sono le braccia del mondo (Deuter.33.27)e al loro interno vi è l’albero. A tutti questi raggi corrispondono i preposti, in numero di 12. Anche all’interno della ruota celeste vi sono 12 preposti: sono in tutto 36 preposti…Sono dunque 12, 12 e 12, i preposti nel drago (Teli), nella ruota celeste (Galgal) e nel cuore (Lev)” (95).

Aleph
 Aleph  – dice il Sepher Bahir (48) – determina piuttosto l’esistenza di tutte le lettere, a somiglianza del cervello. Come per la alef, alla cui menzione apri la bocca, così avviene per il pensiero, quando pensi a ciò che non ha fine né limite. Dalla aleph escono tutte le lettere. Non vedi forse che essa è posta al loro inizio?  Di qui l’analogia che i cabbalisti fanno tra  Alef  ed En Soph.

Alfabeto
 Tre delle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico [si ricordi che ogni lettera ha il valore numerico che viene riportato in parentesi]: Aleph [1]Mem [40]  [ in fine parola con diversa grafia come le lettere kaf-nun-phe e tzadè] Shin [300] sono dette madri e rappresentano gli elementi della tradizione empedoclea: aria - acqua - fuoco (la terra o quarto elemento è considerata una condensazione dell’acqua), altre sette di queste lettere sono dette doppie e rappresentano i sette pianeti (considerando i due luminari e i cinque pianeti della tradizione): Bet  (2)– Dalet (4) – Ghimel (3) – Kaf (20)– Phe  (80) – Resh  (200) – Taw  (400) mentre le restanti dodici lettere, dette semplici,  rappresentano i 12 segni zodiacali: He  (5) – Waw  (6) – Zain (7) – Chet (8)– Teth (9)– Yud  (10) – Lamed (30)– Nun  (50) – Samech  (60) – Ayin  (70)– Tzadè  (80) – Qoph (100)

Atbas
Metodo di permutazione delle lettere dell’alfabeto ebraico. L'alfabeto è piegato nel mezzo e una metà è sovrapposta all'altra, allora è possibile lo scambio tra la prima e l’ultima lettera, tra la seconda e la penultima, tra la terza e la terz’ultima e così via. Oltre a ciò, vi sono significati nascosti nella forma delle lettere dell'alfabeto ebraico ed è possibile scomporre ciascuna consonante per scoprire altre lettere alle quali rinvia e, ancora, la forma di una lettera in fine di parola può talora differire dalla forma che solitamente assume quando è lettera finale o, al contrario, la forma di una lettera scritta nel corpo di una parola, si presenta con la forma propria di una lettera finale, oppure una  lettera scritta in una dimensione più piccola o più grande di quelle del restante manoscritto. [SEGUE]


sergio magaldi

martedì 19 luglio 2016

IL GRANDE ANDROGINO [Parte Quarta]







 In De la causa, principio e uno, Giordano Bruno pur chiamando Dio 'principio primo soprannaturale', finisce poi col distinguerlo dall'universo grazie soltanto agli aristotelici concetti di potenza ed atto, prospettando così una soluzione assai vicina a quella degli stoici: "Or contempla il primo ed ottimo principio, il quale è tutto quel che può essere, e lui medesimo non sarebe tutto se non potesse essere tutto: in lui dunque l'atto e la potenza son la medesima cosa. Non è cossì nelle altre cose..." (Op. cit., Mursia, Milano, 1985, p. 157). Augusto Guzzo, curatore del volume, osserva che potenza ed atto non coincidono "né nelle singole cose dell'universo, né nell'universo preso complessivamente...perché esso è tutto quel che può essere, ma in ciascun momento e luogo è solo quel che è, e non le molte cose che anche potrebbe essere." (cfr., nota 191, p. 157). Per lo stoicismo antico, Dio non ha forma umana: "Omitto de figura dei dicere, quia Stoici negant habere ullam formam deum (Preferisco non parlare dell'aspetto di dio, perché gli Stoici escludono del tutto che dio abbia forma)", scrive Lattanzio (Stoici antichi, cit., fr. (B.f)1057, p. 899) e Clemente Alessandrino annota: "Dio per ascoltare non ha bisogno di avere forma umana, né gli servono i sensi, come dicevano gli Stoici, in specie quello della vista e dell'udito..." (Ibid., fr. (B.f)1058, p.901). Del pari si osservi che ancora Giordano Bruno, in De la causa, principio e uno, esclude che a Dio appartenga  forma umana, vuoi che questo significhi - come sostiene Augusto Guzzo (op.cit., nota 3, p. 210) - un comune sentire con l'eleatismo e il pitagorismo, vuoi piuttosto con l'ermetismo di cui parla la Yates, per ciò che lo stesso Guzzo ritiene sotteso (Ibid., nota 1, p. 210) quel 'primo principio sopranaturale'  che invece a me pari manchi intenzionalmente nel brano di seguito citato e che, ove anche fosse presente in 'spirito', rimanderebbe a un Dio - Cosmo, uno e totalizzante. Ciò che, a mio giudizio, rende di nuovo il Nolano concettualmente più vicino allo stocismo che all'ermetismo:

 "TEOF. E' dunque l'universo uno, infinito,immobile. Una, dico, è la possibilità assoluta, uno l'atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il  massimo ed ottimo; il quale non deve poter essere compreso; e però infinibile ed indeterminabile, e per tanto infinito e indeterminato, e per conseguenza inmobile. Questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuor di sé ove si trasporte, atteso che sia il tutto. Non si genera; perché non è altro essere che lui possa desiderare o aspettare, atteso che abbia tutto lo essere. Non si corrompe; perché non è altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa. Non può sminuire o crescere, atteso che è infinito; a cui come non si può aggiongere, cossì è da cui non si può suttrarre, per ciò che lo infinito non ha parte proporzionabili. Non è alterabile in altra disposizione, perché non ha esterno da cui patisca e per cui venga in qualche affezione. Oltre che, per comprender tutte contrarieta di nell'essere suo in unità e convenienza, e nessuna inclinazione posser avere ad altro e novo essere o pur ad altro ed altro modo di essere, non può esser soggetto di mutazione secondo qualità alcuna, né può aver contrario o diverso che lo alteri, perché in lui è ogni cosa concorde. Non è materia, perché non è figurato né figurabile, non è terminato né terminabile. Non è forma, perché non informa né figura altro, atteso che è tutto, è massimo, è uno, è universo. Non è misurabile né misura. Non si comprende, perché non è maggiore di sé. Non si è compreso, perché non è minore di sé. Non si agguaglia, perché non è altro ed altro, ma uno e medesimo. Essendo medesimo e uno, non ha essere ed essere; e perché non ha essere ed essere, non ha parte e parte; e per ciò che non ha parte e parte, non è composto. Questo è termine di sorte che non è termine; è talmente forma che non è forma; è talmente materia che non è materia; è talmente anima che non è anima: perché è il tutto indifferentemente,e però è uno, l'universo è uno." (Giordano Bruno, op.cit., pp. 210 - 212).

 Il brano, di grandiosa e poetica bellezza estetica e concettuale, non lascia adito al dubbio: nell'universo così descritto non c'è spazio per la trascendenza, almeno nel senso della visione ermetica proposta nel Discorso del nous (intelletto). Dio, d’altra parte, è presente in tutte le forme e si trova tanto nel corpo del maschio che in quello della femmina e quando maschio e femmina si congiungono nell'amplesso, ricostituendo l'unità del cosmo, sono a lui più vicini. Lo stesso concetto, pur se diversamente formulato, si trova nella tradizione ebraico-cabbalistica del Cantico dei Cantici e dello Zohar. Anche qui, tuttavia, occorre intenderci. Se ‘l'unione degli opposti’, così poeticamente espressa nel Cantico, si propone a modello del Grande Androgino creatore, siamo alle solite, con una visione antropomorfica e materialistica della divinità. Se, viceversa, leggiamo il Cantico nell'ottica in cui Moshe Idel indica, più in generale, debba intendersi l'unione sessuale del maschio e della femmina, allora comprendiamo meglio, nella molteplicità dei fenomeni e nella dialettica degli opposti, la sostanziale unità del Tutto. Giuseppe Abramo, nell'introduzione del suo pregevole studio sul Cantico, dopo aver ricordato che nel Talmud è detto che 'Tutto ciò che Dio ha creato in questo mondo, l'ha creato maschio e femmina', osserva: "Questo correlarsi di parti, questa affermazione che la polarità essenziale di tutta l'esistenza è quella maschile-femminile, in Cabala è contenuta nelle parole, peraltro prese a prestito dal Talmud, 'Due che è quattro'. Ci troviamo di fronte ad un sistema nel quale: “l'Uno diventa due, che in realtà è quattro, che si unisce diventando due, il cui scopo è di rivelare l'Uno” (G.Abramo - Nadav Eliahu Crivelli, Il Cantico dei Cantici e la tradizione cabalistica, trascendenza e immanenza nell'unione fra maschile e femminile, Bastogi, Foggia, 1999, p. 19). Se con 'Uno' s'intende il cosmo creato uno da Dio, da cui si genera, nella sua opposta polarità, l'essere umano ed ogni altro aspetto della realtà, allora siamo nella stessa prospettiva di Moshé Idel.


 Androgino è dunque il cosmo, non l'uomo, nel senso che ogni aspetto del reale necessità dell'azione congiunta della femmina e del maschio, e benché si dica che il cosmo è creato a immagine di Dio, la sua somiglianza, poiché Dio è privo di forma, si estrinseca nell'unicità e nell'immortalità, ma già differisce nel principio stesso della sua esistenza, armonico in sé ma suscettibile di contrasto e separazione nell'individuazione delle forme del divenire. Tant'è che gli ermetici lo dicono bello, ma non buono ad indicare che è soggetto a passione e corruzione, non in sé, ma nel tempo e nello spazio. Cosa, d'altra parte, ci fa persuasi che il cosmo è uno, visto che la realtà si manifesta sempre nella forma della polarità e della contrapposizione (maschio - femmina, male - bene, odio - amore, luce - tenebre, giorno - notte, vita - morte...)? Non potendo creare un altro se stesso, se non riproponendo - come già si è detto- l'identità di sé, Dio scelse di creare, sì un dio, perché, a propria immagine e somiglianza, lo fece uno e immortale, ma un dio visibile e sensibile, non tanto perché costui percepisse ma perché potesse essere percepito[1]: nacque così l'androgino ermetico, primo mattone della costruzione del cosmo, mirabile pietra grezza in cui la trinità converge nell'unità ancora indistinta e caotica, unico e vero figlio di Dio, logos divino in cui Dio si è fatto carne. Questi e solo questi è l' Adam Qadmon, l'androgino primordiale, il caos primigenio che contiene indifferenziati il principio maschile e il principio femminile, e per mezzo del quale nasce l'ordine (cosmo) e si conoscono le forme transeunti e molteplici del reale. A Roma, sull'architrave della Porta Ermetica di piazza Vittorio, è inciso il sigillo di Salomone sormontato da una croce. Ai piedi della croce, un cerchio che al centro ne contiene uno più piccolo. Sigillo e cerchi sono chiusi da un cerchio più grande dove tutto intorno è scritto in latino: "Tre sono le meraviglie: Dio e l'uomo, la madre e la vergine, il trino e l'uno". Ecco 'il miracolo della cosa una' di cui si parla nella Tavola smeraldina di Ermete Trismegisto. Ecco infine rivelato il mistero (o dogma) della santissima trinità.


 Sotto questo profilo, l'intera storia, non solo dell'umanità, ma di tutte le forme esistenti e di quelle di là da venire, altro non è che la grande epopea dell'Ermete Trismegisto, il mercurio tre volte grande, non perché - come è stato detto - egli sia figura umana dotata di straordinaria saggezza e signore nei tre regni, bensì, perché è l'anima di tutte le fasi della Grande Opera. Dove il mercurio è tre volte grande? Nell'essere materia prima dell'Opera, nel morire e nel saper rinascere. Egli è ad un tempo la pietra grezza, la pietra lavorata e la pietra filosofale. Non a caso il suo nome greco, Ermes, significa pilastro di pietra e in tale forma veniva spesso rappresentato. Nella mitologia greca, egli è padre di Ermafrodito (l'androgino, la pietra grezza), generatogli da Afrodite nata dalla spuma del mare, fecondata dai genitali recisi di Urano.

 Cosa fa l'alchimista con arte spagirica? Egli separa l'unità indistinta e caotica degli elementi (sale, zolfo e mercurio) che formano la pietra che non è una pietra e li ricompone nell'unità mirabile e aurea della pietra filosofale. Come pure, nella tradizione ebraica, il sigillo o esagramma di Salomone contiene, racchiusi in un cerchio (sale - terra), due triangoli contrapposti e incrociati, simboli del fuoco (zolfo) e dell'acqua (mercurio). L'esortazione contenuta nella Tavola di Smeraldo può essere compiuta: 'lavare col fuoco e bruciare con l'acqua'. E lo Zohar, in un passo che ha per tema la dialettica luce - oscurità, ripropone il significato della creazione umana fatta a immagine e somiglianza di Dio:

   "‘A nostra immagine' corrisponde alla luce (principio maschile). 'A nostra somiglianza' corrisponde all'oscurità (principio femminile), che è una veste per la luce ". [2]

 Nell'androgino ermetico, il maschio (la luce, il fuoco, il sole) è oscurato (velato) dalla femmina (la veste bianca della luna). Ma la tradizione cristiana si spinge anche oltre. Nella Lettera agli Efesini, Paolo di Tarso chiama Cristo pietra principale. Con Cristo (poco importa, sotto questo riguardo, se egli sia davvero esistito), la chiesa di Pietro ha finalmente realizzato il 'sogno divino' di Adamo di trasformare la terra nell'oro dello spirito. Cristo, come Adamo, non nasce di donna, egli è figlio unigenito di Dio. A differenza di Adamo, egli ubbidisce al padre: accetta la morte, ma per avere vita eterna. Il suo calvario addita la via da seguire per trasformare il piombo in oro, la pietra grezza in pietra filosofale. Risorge, infine, dalla tomba per essere lievito di vita. Egli è sì 'la via, la verità e la vita' ma solo come metafora dello spirito immortale presente nel primo mattone con cui Dio ha fatto il cosmo. 
  
sergio magaldi


[1]Cfr.,Asclepio,8,in Discorsi, cit., p. 183

[2]Cfr.,Zohar,I,22a-b

lunedì 11 luglio 2016

CONTE DEI MIRACOLI e... dei rimpianti

theguardian.com


 Con la Spagna campione d’Europa uscente, l’Italia calcistica fa l’impresa grazie al miracolo di Conte, da me auspicato alla vigilia, anche alla luce del pesante intervento degli dei del calcio nel condizionare gli accoppiamenti degli scontri ad eliminazione diretta [vedi il post GLI DEI DEL CALCIO AGLI EUROPEI 2016 e clicca sul titolo per leggere]. Per la verità, l’intervento soprannaturale l’avevo invocato non solo in virtù del gioco scadente, ancorché spesso redditizio, messo in mostra dagli azzurri nei due anni della gestione Conte, ma soprattutto in considerazione del fatto che, dopo la convincente vittoria sul Belgio, seconda nel ranking mondiale, l’Italia aveva deluso nelle due successive partite, l’una vinta con la Scozia, l’altra persa con l’Irlanda. Una prova quella contro la Spagna che addirittura supera la prestazione fornita contro il Belgio, trasformando calciatori considerati mediamente modesti [se si escludono i 4 del pacchetto arretrato] in altrettanti campioni. Poteva Conte ripetere il miracolo contro la Germania, campione del mondo in carica? Poteva, e l’Italia è stata ad un passo dalla prestigiosa qualificazione alle semifinali. Ha tenuto testa ai tedeschi per 120 minuti ed ha finito col cedere quando aveva già in mano (o meglio, sui piedi) la vittoria. Come si fa – si chiede al termine della partita un Buffon in lacrime – a perdere una partita ai rigori quando l’avversario sbaglia per ben tre volte? Il fatto è che gli azzurri di rigori ne hanno sbagliati quattro, ma più clamoroso ancora è che, al penultimo dei cinque tiri dal dischetto, l’Italia era in vantaggio, nonostante l’errore di Zaza che, prima di calciare alle stelle, si era esibito in un inguardabile e prolungato zampettio per ingannare Neuer. Cosa fa Pellé al quarto tiro? Ignorando il presagio lanciato dal collega di reparto, pensa di uccellare uno dei migliori portieri al mondo con il gesto dello scavetto e calcia fuori la palla. Si sa che i rigori si possono sbagliare, è successo anche a Baggio e a Messi, ma qui ci sono almeno tre aspetti sui quali vale la pena riflettere. Il primo è che abbiamo perso la semifinale e forse la finale europea grazie agli errori delle due uniche punte azzurre. Il secondo è che i due attaccanti italiani all’errore hanno aggiunto il ridicolo, soprattutto considerando la statura calcistica del portiere tedesco a fronte della loro scarsa fama: Zaza è riserva nella Juve e Pellé lo è nel Southampton. Il terzo aspetto chiama in causa Conte che ha portato a Parigi solo due punte centrali, per l’appunto Zaza e Pellé [se si esclude Immobile, a volte inguardabile], lasciando a casa Pavoletti, Gabbiadini, Belotti, Lapadula e anche Berardi che, se non è un centravanti vero e proprio, è comunque un attaccante di valore. In epoca non sospetta, quando Conte allenava la Juventus, scrivevo[ post del 26 febbraio 2012]: “L’ideale di Conte, in fondo, è di avere in squadra 10 terzini che sappiano anche fare goal! Per dirla più elegantemente, egli vuole tutti giocatori di movimento che all’occorrenza sappiano difendere e attaccare”. Ottima idea in teoria, ma in pratica la sua quasi perfetta organizzazione di gioco finisce spesso per sfiancare le punte e snaturare la funzione terminale del gioco d’attacco.

 Tutto ciò premesso, non si può non riconoscere a Conte il grande merito del lavoro compiuto, che non solo ha parzialmente coperto le responsabilità degli organi calcistici nazionali, ma che ad un certo punto ha finito per far sognare gli italiani, inizialmente scettici nella resa europea di questa Italia del pallone. Conte aveva detto alla vigilia di Euro 2016 che, quale fosse stato il risultato raggiunto, l’importante sarebbe stato non avere rimpianti. Ebbene, i rimpianti ci sono anche se insieme ai miracoli: non solo per gli incredibili errori dal dischetto, ma anche perché alla finalissima europea è andato il Portogallo, terza squadra ripescata del proprio girone, dopo i pareggi con Austria, Ungheria e Islanda, e vincitrice agli ottavi e ai quarti, tra calci di rigore e tempi supplementari, contro Croazia e Polonia e approdata alla finale con l’unica vittoria nell’arco dei novanta minuti contro il Galles. Per non parlare dell’altra squadra finalista, la Francia che, dopo aver vinto con Romania e Albania, pareggiato con la Svizzera e superato Irlanda e Islanda, si è trovata di fronte la Germania – unico scontro di grande livello – superata in semifinale, grazie ad un rigore, ispirato dai già menzionati dei del calcio, che gli ha spianato la strada verso il successo. Alla fine però vince il Portogallo, nonostante l’infortunio di Cristiano Ronaldo [per una volta meno antipatico di sempre in veste di vice-allenatore] e in virtù della tattica suicida degli afrofrancesi che hanno tenuto mister 100 milioni [Pogba] al centro del campo a fare piccoli e insignificanti passaggi, in luogo di affiancarlo a Sissoko [peraltro sostituito proprio nei momenti decisivi] nell’attaccare la porta dei lusitani, ben protetta da un ottimo Rui Patrício.

 In conclusione, una tra le poche note liete di questi europei è stata che nessuna delle quattro squadre privilegiate dagli dei del calcio [Francia, Germania, Spagna e Inghilterra] sia riuscita a vincere, mentre a sollevare la coppa è il Portogallo, uno dei quattro outsider [Belgio, Portogallo, Italia e Croazia] che, secondo la sapiente e divina regia, si sarebbero dovuti eliminare tra di loro. Infatti, se tutto fosse andato secondo previsioni, il Portogallo, prima del girone F, avrebbe incontrato l’Italia [presumibile 2.a del girone E], e il Belgio [presumibile 1.a del girone E] avrebbe incrociato la Croazia [presumibile 2.a del girone D, dopo la Spagna]. Insomma e per fortuna: non è solo il diavolo a fare le pentole senza i coperchi, qualche volta ci riescono anche gli dei…

sergio magaldi

sabato 9 luglio 2016

IL GRANDE ANDROGINO [Parte Terza]



SEGUE da IL GRANDE ANDROGINO[Parte Prima] e da IL GRANDE ANDROGINO[Parte Seconda]. Clicca su ciascun titolo per leggere.


Alcuni trattati ermetici sostengono che è il mondo ad essere creato a immagine e somiglianza di Dio, non l'uomo, e se il creatore è eterno e ingenerato (aidios), la realtà (mondo, cosmo) che è generata, è soltanto immortale (atanatos). L'uomo, invece, non è né eterno né immortale, perché generato dal mondo, sebbene egli partecipi dell'immortalità mediante l'intelletto (nous). Cosa debba intendersi per nous nella letteratura ermetica è argomento assai complesso. Si può tuttavia provare a riassumerne i diversi significati, con le parole stesse del Pimandro, secondo il quale l’intelletto proviene da Dio, così come la luce si dispiega dal Sole. Se pure partecipa dell’intelletto divino, l’essere umano è soltanto terzo nella gerarchia:

  "Primo di tutti gli esseri, in realtà è Dio, eterno, ingenerato, creatore dell'universo; secondo è colui che è stato creato da Dio a sua immagine e che da Dio è tenuto in vita, nutrito e dotato di immortalità...Il Padre dunque, generandosi da sé, è eterno, il mondo invece, essendo generato dal Padre, è generato ed è immortale. E quanta materia era soggetta alla sua volontà, tutta questa il Padre la foggiò in forma di corpo e, avendole dato un volume, la rese sferica...Dio circondò il tutto di immortalità, affinché, anche se la materia volesse separarsi dalla composizione di questo corpo, non potesse dissolversi tornando al disordine che le è proprio...I corpi degli esseri celesti possiedono un unico ordine, quello che hanno ricevuto dal Padre fin dalla loro origine; e quest'ordine è conservato immutabile dal ritornare periodico di ciascuno di essi al suo posto primitivo (il ritorno periodico degli astri a un punto fissato della loro traiettoria, indica quindi l'immobilità dell'ordine celeste)...Il terzo essere vivente è l'uomo, creato a immagine del mondo, e che, a differenza degli altri esseri terrestri, possiede l'intelletto per volontà del Padre; non solo è unito per affinità al secondo dio, ma può conoscere il primo dio con la facoltà intellettiva." [1]

Il medesimo concetto, dell'uomo creato a immagine del mondo, è ripreso nel IX  Discorso: "Dio è dunque il padre del mondo, il mondo il padre di tutti gli esseri che si trovano in esso; il mondo a sua volta è figlio di Dio, e gli esseri che sono nel mondo sono figli del mondo. E giustamente il mondo è stato definito kosmos (ordine), perché ordina tutti gli esseri per mezzo delle varie qualità delle generazioni, per mezzo della continuità della vita, della sua instancabile attività, del rapido movimento imposto dal destino, della combinazione degli elementi, e della disposizione ordinata di tutti gli esseri che nascono." [2]

E di nuovo è ripreso nel X Discorso per sostenere che il mondo è bello ma non buono perché soggetto a passioni:  "Chi è dunque il dio materiale di cui parli?",chiede Asceplio ad Ermete ed Ermete risponde: "Il mondo, che è bello, ma non buono; è costituito infatti di materia, è soggetto a passioni ed è il primo di tutti gli esseri passibili; è il secondo nella serie degli esseri, ed è incompleto in sé stesso, ha avuto anch'esso un principio della sua esistenza, ma esiste sempre, perché esiste nel divenire..."[3]

È riproposto  anche  per ribadire la gerarchia degli esseri: Dio, il cosmo e l'uomo: "...Vi sono dunque questi tre esseri: Dio che è il padre e il bene al tempo stesso, il cosmo e l'uomo. Dio contiene il cosmo; il cosmo l'uomo; il cosmo nasce come figlio di Dio, l'uomo del cosmo, quindi come nipote di Dio."  [4]. In proposito, B.M. Todini Portogalli osserva: "La concezione di un profondo legame tra i tre esseri divini: Dio, il mondo, l'uomo è il tema centrale dell'ermetismo, e deriva evidentemente dal tema stoico della sumpateia (simpatia), principio di accordo e di unità del cosmo." [5]  

Il tema dell’essere umano creato a immagine e somiglianza del mondo è ancora contenuto nel discorso che l'intelletto o nous rivolge a Ermete per meglio fissare, in rapporto a Dio, i concetti di eternità, cosmo o mondo, tempo e divenire: "...Dio crea l'eternità, l'eternità il mondo, il mondo il tempo, il tempo il divenire. L'essenza di Dio è per così dire la saggezza; dell'eternità l'identità; del mondo l'ordine; del tempo il mutare, del divenire la vita e la morte...Così dunque l'eternità è in Dio, il mondo nell'eternità, il tempo nel mondo, il divenire nel tempo. E mentre l'eternità sta immobile intorno a Dio, il mondo è in movimento nell'eternità, il tempo si compie nel mondo, il divenire diviene nel tempo."  [6]

Ribadito di nuovo lo stesso concetto per definire, in rapporto al cosmo, i reali significati di morte, trasformazione, visibile, invisibile, rotazione e sparizione:  L'eternità è dunque immagine di Dio, il mondo immagine dell'eternità, il sole del mondo, l'uomo del sole. Il cambiamento è definito come morte, per il fatto che il corpo si disgrega e la vita si dissolve nell'invisibile. Gli esseri che si disgregano in tal modo, mio caro Ermete, e anche il mondo, io dico che si trasformano, per il fatto che ogni giorno una parte del mondo va nell'invisibile, ma non si dissolvono. Queste sono le perturbazioni che subisce il mondo: la rotazione e la sparizione. La rotazione è rivoluzione, la sparizione é rinnovamento."[7].

Per quanto la concezione ermetica ricordi il Timeo platonico nel fare del cosmo l'immagine stessa di Dio e dell'eternità, passaggio dal caos all'ordine, topos generato e immortale, per quanto i trattati ermetici parlino del cosmo come di un secondo dio, non bisogna dimenticare il carattere sostanzialmente monoteistico della teologia ermetica: ei kai monos, uno e solo, è il fondamento stesso della divinità e il nous così parla ad Ermete:

  "Che esista dunque un creatore di queste cose, è chiaro; che sia anche unico, è ancora più evidente; una è l'anima, infatti, una la materia, una la vita. Chi è dunque questo creatore? Chi altro se non Dio, che è unico? A chi altro infatti si converrebbe creare esseri animati, se non a Dio solo? Dio dunque è unico. Sarebbe una cosa del tutto ridicola: hai ammesso con me che il mondo è sempre uno, uno il sole, una la luna, una l'attività divina, e vorresti che Dio proprio lui, fosse membro di una serie?"[8]

Dio-Uno è davvero il Grande Androgino descritto nel primo capitolo del Genesi, in alcuni trattati ermetici e nel pantheon delle diverse religioni? In contrasto con quanto si afferma sia nel Pimandro che nell'Asclepio, nel già menzionato discorso del nous ad Ermete, la soluzione prospettata, nonostante l'apparente dualismo, è decisamente in armonia col pensiero complessivo dell'ermetismo. Per un verso Dio, come principio trascendente, è incorporeo e dunque privo di forma, per altro verso Dio, creatore del cosmo, presenta tutte le forme:

   "Il mondo è multiforme, non perché contiene in sé stesso le forme, ma perché muta in se stesso. Poiché dunque il mondo è stato creato multiforme, come può essere colui che lo ha creato? Non potrebbe essere privo di forma. D'altra parte, se egli è multiforme, risulta che è uguale al mondo. Ma se possiede una sola forma? In questo sarà inferiore al mondo. Come possiamo dunque dire che è, per non lasciare il discorso senza una conclusione certa? Niente vi è infatti di dubbio per noi nella conoscenza di Dio. Dio quindi ha una sola forma che sia propria di Dio, la quale non sia però oggetto degli organi della vista, e cioè incorporea; Dio presenta tutte le forme attraverso i corpi." [9]

Poiché, dunque, c'è forma solo per rapporto alla materia, Dio non ha forma, né può improntare di sé una qualsiasi forma da trasmettere all'uomo.  Non diversamente, gli stoici (Zenone, Cleante e Crisippo, IV - III sec. a. C.), secondo le testimonianze degli antichi, considerano il cosmo uno, generato e immortale [10] C'è tuttavia da osservare che, nella concezione stoica, Dio stesso è identificato con l'intero cosmo:"Per loro dio non è altro che l'intero cosmo con tutte le sue parti. E affermano che questo è uno solo, finito, vivente, eterno e divino. Nel cosmo sono compresi tutti i corpi, né v'è traccia di vuoto. Danno il nome di Dio alla qualità derivata da tutta la sostanza, e non a ciò che possiede una tale disposizione in conformità con l'ordine universale. Pertanto, in coerenza con la prima definizione sostengono che il cosmo è eterno, mentre con riferimento al suo ordinamento dicono che è generato, soggetto a un infinito cambiamento ciclicamente ripetuto nel passato e nel futuro. Ma per quanto riguarda la qualità che proviene da tutta la sua sostanza il cosmo è eterno e divino." [11]

Mi sembra interessante osservare come Giordano Bruno in De la causa, principio e uno pervenga in gran parte a risultati analoghi nel considerare il rapporto Dio - cosmo. Soluzione più stoica, dunque, che ermetica, quella del grande Nolano, anche valutando con tutto il rispetto le acute analisi della Yates sull'ermetismo di Bruno (Frances A. Yates, Giordano Bruno and the Hermetic Tradition, Londra, 1964; trad. it. Laterza, Bari, 3.a ed., 1992 ). [SEGUE]

[1] Cfr., Discorsi di Ermete Trismegisto, cit., VIII, pp. 80 - 82. Il corsivo in parentesi è contenuto in una nota di B. M. Todini Portogalli,curatrice del volume, in calce al testo.
[2]Discorsi,cit.,IX,8,pp.87-88
[3] Ibid., X,10, p. 96.
[4] Ibid., X, 14, p. 98.
[5] Ibid., p. 102, nota 26
[6] Ibid., XI, 2, pp. 106 - 107
[7]  Ibid., XI, 5, p. 114.
[8] Cfr., Discorsi, cit., XI, 11, p. 112.
[9] Ibid., XI, 16, pp. 114 - 115.
[10]cfr., Stoici antichi. Tutti i frammenti, raccolti da Hans von Arnim, trad. it. di R. Radice, testo greco e latino a fronte, Rusconi, Milano, 2.a ed., 1999,  frr. (B. f)528 - 533, pp. 615 - 617.
[11] Ibid., (B.f)528, p. 615. 


lunedì 4 luglio 2016

IL GRANDE ANDROGINO [Parte Seconda]



Segue da IL GRANDE ANDROGINO [Parte Prima], clicca sul titolo per leggere.

L'idea di un Grande Androgino primordiale si spiega con l'esigenza di coniugare insieme la capacità di generare (principio femminile) e il principio maschile o fecondatore e benché la Bibbia si sforzi di dimostrare che Dio creò tutto con la parola, quando egli pronuncia per l'ottava volta le parole creative (i dieci 'Dio disse' del primo capitolo del Genesi) non può fare a meno di rivelare la sua natura - di cui l'uomo partecipa in immagine e somiglianza - di maschio e femmina allo stesso tempo.

La medesima esigenza conduce numerose altre tradizioni ad assumere una concezione per lo più identica. Scrive in proposito B.M. Todini Portogalli [Discorsi di Ermete Trismegisto, “Pimandro”, Boringhieri, I Ed.,1965, p. 31, nota 5]:“Questa concezione di Dio dotato di doppia natura, femminile e maschile, è molto comune nella letteratura religioso-filosofica del tempo; si ritrova nei neoplatonici, negli gnostici, nell'orfismo e ripetutamente negli scritti ermetici ed è strettamente connessa con l'altra concezione, per cui la natura propria e peculiare di Dio è il generare...".

Diversamente, la tradizione egizia e alcune tradizioni orientali, eliminando il ruolo determinante della vagina e dell'utero, fanno nascere tutto da un gesto solitario del Dio primordiale. Ciò non esclude, d'altra parte, la presenza nel pantheon egizio di divinità androgine. Una è Hapi, dio del Nilo, raffigurato come un uomo pingue, dotato di mammelle e le cui acque celano il fuoco fecondatore; l'altra è Mut, grande madre, dotata insieme di organi sessuali maschili e femminili, rappresentazione della natura naturans e per molti versi assimilabile, nella mitologia greca, alla dea Cibele. Greca d'importazione, Cibele è in realtà, in origine, la dea ittita Kubaba che dalle sponde dell'Eufrate trascorre in Asia Minore e in Frigia col nome di Kubebe e Kybele. In nessun caso, Cibele può essere assimilata a Rea come fecero i Greci e i Romani, la sua peculiarità, infatti, è di non essere soltanto la Grande Madre degli dei e degli uomini, ma di incarnare un principio più arcaico e primordiale. Cibele è la natura naturante nel momento del Caos, l'unità indifferenziata di maschio e femmina, allorché il principio creativo che è in lei non ha ancora operato la trasformazione in natura naturata. In Frigia, nei pressi di Pessinunte, su una scogliera deserta, Cibele si manifestava come roccia o pietra nera (Agdos). Attis o Atti, discendente da seme divino caduto sulla pietra, tentò invano di vivere la propria sessualità maschile, unendosi in nozze con Atta, la figlia del re Mida di Pessinunte. Ad impedire le nozze, sopraggiunse Cibele nella sua veste maschile  e violenta di Agdistis. Al suono della siringa di Pan, Cibele-Agdistis provocò la follia dei convitati e dello stesso Attis che si evirò sotto un pino, assumendone la forma.

Hapi e Mut, tuttavia, rinviano ad un primordiale dio solare che, mediante masturbazione o semplicemente sputando, crea la prima coppia dell'Enneade, alla quale appartengono, tra l'altro, Nut e Geb, cielo e terra, Osiride e Iside, sole e luna.

Tutta la questione non è di poco conto se si considera l'imbarazzo e lo scandalo che da sempre ha suscitato nella maggior parte delle coscienze l'idea di un Dio attivo e insieme passivo, di un uomo che, riflettendo l'immagine del proprio creatore, sia ad un tempo capace di fecondare e di generare. Poiché, d'altra parte, la realtà mostra che il maschio è solo capace di fecondare, riservando semmai ogni atto generativo alle opere della mente, fu di necessità provvedere alla separazione dei sessi.

Il Genesi risolve il problema con altri due versetti. Nel primo (Genesi, 2:21) affermando che ' ...il Signore Dio mandò ad Adamo un profondo sonno ' e che  'mentre era addormentato, prese da lui una costola che sostituì con carne'; nel secondo (Genesi, 2:22) proclamando infine la costruzione (non la creazione!) della donna e presentandola al sonnolento e intorpidito Adamo.

A tale semplice e lineare conclusione, comunemente accettata, fa spesso riscontro, nella tradizione occidentale, la visione più complessa e fantastica introdotta dal Simposio platonico. E per quanto anche qui si parli di un dio (Zeus) separatore, diversi sono i presupposti: l'androgino che subisce la separazione non è già più l'immagine speculare di un Dio, perché Zeus è un dio maschio. L'androgino descritto da Platone, rinvia, per le sue fonti, ad una realtà ben più arcaica e primordiale, quando Zeus non era e i sessi si manifestavano congiunti nell'indistinto caotico della natura naturans. Ignorando il problema di un dio fecondatore e insieme capace di generare, problema che certo non compete a Zeus, dio relativamente giovane del politeismo greco, Platone immagina tre sessi originari: il maschio, la femmina e l'androgino. Distinzione questa che ripropone inconsciamente il rapporto tra una divinità primordiale, antropomorfa e totalizzante e la bisessualità della natura umana quale si manifesta nella polarità  maschio - femmina. Ciò che nel Simposio, Aristofane dice a Eurissimaco, presuppone non solo l'esistenza di un Grande Androgino originario, ma attesta altresì di una ubris fondamentale presente nell'androgino umano, superbia e vigore in eccesso che, esattamente come avviene nel mito di Cibele e Agdistis, devono essere puniti.

    "Dunque - dice Aristofane - i sessi erano tre e così fatti perché il genere maschile discendeva in origine dal sole, il femminile dalla terra, mentre l'altro, partecipe di entrambi, dalla luna, perché anche la luna partecipa del sole e della terra. Erano quindi rotondi di forma e rotante era la loro andatura perché somigliavano ai loro genitori. Possedevano forza e vigore terribili, e straordinaria superbia; e attentavano agli dei..." [1]

Fu così che Zeus prese la decisione di punire gli androgini, ma la punizione non comportò la privazione della vita, ciò che - osserva Platone - avrebbe determinato la scomparsa degli onori e dei sacrifici che gli uomini attribuivano agli dei. Così, se Agdistis fu evirato e ridotto alla natura vegetale, gli androgini videro il proprio corpo tagliato a metà e, dopo di allora, dedicarono l'esistenza alla ricerca della metà resecata [2], non per amore, come vorrebbe un'interpretazione religiosa e mitopoietica, ma con l'idea della reintegrazione dell'androgino primordiale. Su questa resezione fondamentale dell’essere umano e sull'androgino in generale, esiste un'abbondante letteratura e una sua altrettanto ricca rappresentazione nelle arti figurative. La questione, talora ossessiva, si riassume nella domanda di Herman Melville:

  "What Cosmic jest or Anarch blunder
   The human integral clove asunder
  And shied the fractions through life's gate? 
(Quale scherzo cosmico o errore dell'Anarca / ha spaccato l'essere umano integro / e ha lanciato i frammenti attraverso la porta della vita?) " [3]

Evidente, nei versi di Melville, il rimpianto per la condizione edenica quando Adamo non conosce Eva ed è ancora l'Adam Qadmon, l'uomo cosmico creato a immagine e somiglianza del Grande Androgino. La legittima aspirazione a riconoscere e celebrare le due polarità della natura umana si muta nel desiderio impossibile e titanico di un uomo considerato integro, perché dotato di entrambi i sessi, a imitazione del suo fantomatico e carnale creatore.
Inoltre, il mito dell'androgino cela un'altra verità: l'avversione e l'invidia maschile per la femmina alla quale soltanto è concesso di generare, tant'è che la tradizione religiosa adamitica afferma che la donna è costruita, non creata. Secondo il racconto biblico, infatti, Dio costruisce la donna con ciò che toglie dal corpo di Adamo (Genesi, 2:22), il quale la chiama ishah perché da lui stesso (ish, uomo) è stata tratta e, nuovamente, grazie all'unione santa del matrimonio, sarà da lui incorporata (Genesi, 2:23-24). In altri termini, il corpo della donna non è altro che quello di un uomo che si munisca di utero e vagina in funzione dell'accoppiamento e della generazione. Quando non si pretenda addirittura di negare l'identità femminile, di farne a meno, per così dire, a tutto vantaggio di un ibrido di entrambi i sessi, sublimato per essere a immagine e somiglianza di Dio, come lui maschio bisessuato, dotato di straordinari poteri. Naturalmente, anche una dea dotata di entrambi i sessi è un androgino, ma la sua rappresentazione, come  nel caso di Cibele, è molto più arcaica e, probabilmente, fa riferimento ad una ipotetica società matriarcale o comunque ad un'età in cui il potere di generare  riesce ancora ad imporsi su quello di fecondare.

Questa visione antropomorfa e materialistica della divinità si trova, con diverse accentuazioni, in tutte le religioni, anche se nella tradizione ebraico - cristiana trova la sua pietra d'inciampo nell'allegoria del serpente e della scimmia. Cosa dice il serpente alla donna? Che se lei e il suo compagno mangeranno il frutto proibito, diverranno simili a Dio. Ed ecco Adamo ed Eva che, in luogo di reintegrarsi nell'Uomo cosmico, si trasformano in simiae dei.

Così, l'androgino, lungi dall'essere “un nuovo stato in cui le caratteristiche essenziali del maschio e della femmina coesistono armoniosamente[4] o il luogo a cui “la mente s'innalza al di sopra dei nomi e delle forme” e dove “anche le divisioni sessuali vengono superate” [5], lungi dal rappresentare il ritorno alla condizione edenica e a Dio, ne è piuttosto l'allontanamento, con la discesa nel caos indistinto della natura naturans, dove ogni identità scompare nella babele delle forme, perché ogni forma è ancora lontana dall'individuazione. Con ciò, non si vuole certo disconoscere la dimensione psicologica della condizione umana e il bisogno di rappresentare, dentro di sé, l'opposta polarità sessuale. Appare perciò convincente, ancora oggi, la distinzione junghiana di anima, per descrivere la psiche maschile, e di animus, per descrivere la psiche femminile. Non diversamente, nel taoismo, all'energia maschile o yang, fa riscontro una prevalente energia femminile interiore o yin (non solo psichica ma anche fisica) e viceversa. Può però avvenire, per le cause più diverse, che l’energia psicosomatica inverta di polarità (omosessualità) o che funzioni, per così dire, a corrente alternata (bisessualità).

Il Pimandro, sulla scia del Genesi, ripropone la bisessualità fondamentale della natura umana [6],  la successiva separazione dei sessi per volere divino [7] e il conseguente appello all'accrescimento e alla moltiplicazione del genere umano [8]. In altri trattati ermetici, tuttavia, si fa strada una più complessa dinamica dei rapporti uomo - Dio. E' il mondo, inteso come totalità del reale, ad essere creato a immagine e somiglianza di Dio. [SEGUE]

sergio magaldi


[1] Platone, Simposio, XIV, 189c - 190b, in Platone, Opere, Vol.I, Bari,1966, pp. 681- 682.
[2] Ibid., XIV, 190c - 191a.
[3]Cfr., in E. Zolla, op. cit., p. 26.
[4] Cfr., A. Schwarz, Cabbalà e Alchimia, Saggio sugli archetipi comuni, La Giuntina, Firenze, 1999, p. 70
[5] Cfr., E. Zolla, op.cit., p. 11
[6] "...(L'uomo) possiede in sé la natura maschile e femminile insieme, perché è stato generato da un padre, che ha ambedue le nature..." , Pimandro, XV, ed. cit.,p. 34; cfr., Genesi, 1:27
[7] "... compiutosi il periodo della rivoluzione, il legame, che teneva unite tutte le cose, si ruppe per volere divino. Tutti gli esseri viventi, che erano al tempo stesso di natura maschile e femminile, insieme all'uomo, si divisero in due e divennero in parte maschili, in parte femminili.", Pimandro, XVIII, ed. cit.,p. 36; cfr., Genesi, 2:21-22
[8] "Immediatamente Dio con un santo discorso disse loro: 'Crescete accrescendovi, e moltiplicatevi in quantità tutti voi, che siete stati creati e prodotti, e chi possiede l'intelletto riconosca se stesso immortale'...", Pimandro, XVIII, ed. cit.,p. 36; cfr., Genesi, 1:28