domenica 31 dicembre 2017

NOTE SULLA QABBALAH: parte III, astrologia cabbalistica



 

 

SEGUE DA:


NOTE SULLA QABBALAH: parte I, la teurgia  (clicca sul titolo per leggere)

 

Avvertenza: per leggere le lettere ebraiche occorre il font hebrew

 

 ASTROLOGIA CABBALISTICA


 Il Dragone o Telì o Asse del mondo riveste una grande importanza nelle speculazioni cabbalistiche: nel Sèpher Yezirah è detto che ‘il Dragone è nell’Universo come un re sul suo trono’(S.Y.,6:3). Telì è per molti cabbalisti l’occhio immaginario attorno al quale ruotano i cieli, il luogo dove tutto è appeso, dalla radice Talah (appendere). I due punti in cui l’orbita di un pianeta interseca il piano dell’eclittica sono detti capo (nodo ascendente) e coda (nodo discendente) del Dragone. La caratteristica dei due nodi è di formare un Asse (Axis Mundi) che appunto è Telì. Secondo Abulafia[1] la testa del Telì significa merito, mentre la coda significa responsabilità e rappresentano entrambi il punto d’incontro del mondo fisico col mondo spirituale. Per gli Esseni, in particolare, Telì consente di rivelare le caratteristiche della natura umana, giacché  ogni essere umano possiede 9 parti di spirito buono e 9 di spirito malvagio (i 7 pianeti + i 2 nodi lunari). In ogni uomo c’è una mistura dei due: nel più favorito predomina lo spirito buono e viceversa. Osservando lo zodiaco di ciascuno è possibile rintracciare queste parti di luce e di tenebra presenti in lui, considerando che sopra l’orizzonte si trova la luce e al di sotto le tenebre. Gli Esseni,[2] nel tracciare gli oroscopi, davano molta importanza ai nodi lunari che insieme ai 5 pianeti, al Sole e alla Luna, formavano le cosiddette ‘nove parti’. Il pronostico, fatto sul tema di nascita, era favorevole quando la luce prevaleva sulle tenebre, quando cioè le ‘nove parti’ erano in prevalenza nel cosiddetto emisfero di luce, individuato al di sopra dell’orizzonte. Nessun uomo, naturalmente, era interamente nella luce o interamente nelle tenebre perché il nodo lunare nord (testa del Drago) si trova di necessità sopra l’orizzonte e il nodo lunare sud (coda del Drago) sotto l’orizzonte. Il più puro o ‘illuminato’ era dunque colui che aveva ‘sette parti’ (oltre alla testa del Drago) sopra l’orizzonte, il più impuro quello che aveva le ‘sette parti’, cioè i 5 pianeti e i due luminari oltre alla coda del Drago) al di sotto.

 Uno specifico interesse per l’astrologia fu presente anche nelle prime scuole di Qabbalah storica. Alcuni scolari del grande Isacco se ne occuparono particolarmente: Azriel di Girona, Nachmanide suo discepolo e autore fra l’altro di un commento del Pentateuco, e i meno noti Ezra di Girona, forse fratello di Azriel, e Jacob ben Sheshet. Nei suoi commentari, Azriel sviluppa la tesi che l’uomo saggio e pio può correggere ciò che nel suo destino è sfavorevole, mentre l’uomo malvagio finisce con l’annullare ciò che il destino gli ha riservato di favorevole. Egli sottolinea l’interrelazione dei destini umani e ritiene che per coloro che si siano pentiti durante lo Yom Kippur, o giorno di espiazione e di purificazione, si danno due possibilità: se, dopo il pentimento, cadono nuovamente nel peccato, ciò che di positivo c’era nel loro destino si realizza ugualmente senza tuttavia che possano approfittarne. Se, invece, non si sono pentiti nel giorno stabilito (Yom Kippur) ma lo fanno successivamente, ciò che di negativo c’era nel loro destino si verifica ma per loro non produce effetti malefici.

 Il discepolo di Azriel, Nachmanide si occupa di astrologia nel Commentario del Deuteronomio, 18:9, riconoscendo che per volontà divina gli astri esercitano la loro influenza sugli uomini e che agli angeli è assegnato il compito di regolare tale influenza. Egli raccomanda comunque di tener conto delle indicazioni di astri e costellazioni e soprattutto di fare penitenza nei giorni cosiddetti sfavorevoli. Di un anonimo cabbalista è il Sepher Halevana o ‘Libro della Luna’, citato da Nachmanide e dove sono esaminate le 28 dimore della Luna, quelle favorevoli e quelle sfavorevoli, nonché i relativi talismani.

 Il rapporto angeli-astri è invece ripreso da Jacob ben Sheshet il quale sostiene che il destino di ognuno è simbolicamente descritto nel suo tema natale e che gli angeli eseguono il volere di Dio, scritto negli astri sin dai giorni della creazione. Gli angeli, tuttavia, nell’eseguire la volontà divina, possono sfumare i significati del destino perché se gli astri garantiscono l’ordine dell’universo e rappresentano, usando il linguaggio aristotelico, la ‘Potenza’ di ciò che deve accadere, gli angeli sono gli strumenti della Provvidenza e gli artefici del passaggio dalla ‘Potenza all’Atto’. Nel commentario al trattato talmudico Moed Katan, Jacob ben Sheshet sostiene che se il giusto può annullare o modificare il decreto degli astri, su tre cose tuttavia gli riesce difficilmente intervenire: sul numero dei figli, sulla lunghezza della vita e sulla ricchezza. Può solo sperare di modificarle supplicando e moltiplicando le sue preghiere, in aggiunta all’osservanza dei Mitzvoth e al merito personale.

 In diversi passi dello Zohar è ripresa la problematica talmudica sull’astrologia, in particolare per ciò che riguarda la discendenza di Abramo. Nel trattato Lekh Lekha 78a la questione è risolta al modo di Filone di Alessandria[3] e in Pinhas (Numeri) 216b è detto chiaramente che il destino di Abramo fu modificato dall’aver egli cambiato di residenza (le ‘migrazioni’ di cui parla Filone) e dall’aver aggiunto la lettera He al suo nome, perché tale lettera simboleggia i 5 libri del Pentateuco e della Torah. Analogamente, se, in passato, il numero dei figli, la durata della vita e la ricchezza erano determinati dagli astri, da quando Israele ha ricevuto la Legge tutto ciò è stato modificato.

 Nel trattato Vayéshev 180b è detto che i nati nel giorno della Luna nuova –  allorché il luminare scompare dal cielo e Ghevurah-Rigore si impone nell’universo –  dovranno sopportare povertà e ogni genere di sofferenza e ciò prescindendo dal fatto che siano giusti o empi. Tuttavia, la preghiera potrà migliorare la loro sorte. Al contrario, chi nasce di Luna piena godrà di ogni bene, di figli e di buona salute. Il rapporto angeli-astri è invece contenuto in un altro trattato zoharico (Teroumah, 171b-172b), col dire che ogni stella, pianeta o costellazione ha il suo angelo in grado di governare gli eventi e il destino.

 Infine, in Jethro, 76a-b è detto che gli astri lasciano sul viso e sul corpo dell’uomo i segni del destino, proprio come nel firmamento: “Così come nel firmamento sono incisi gli astri e altri segni leggibili ai saggi, sulla pelle che ricopre ogni uomo sono incise rughe e linee che non hanno segreti per i saggi, soprattutto rughe e linee del viso…”. La Fisiognomica o arte di individuare le caratteristiche psichiche e morali delle persone dal loro aspetto fisico, è oggetto di specifica trattazione nello Zohar, come si vedrà nel seguito con gli ampi riferimenti di Federico Pignatelli.

 Lo stesso Sepher Yetzirah offre ai cabbalisti dell’area provenzale e sefardita più di uno spunto per occuparsi di astrologia, tant’è che Maimonide, che vede nell’astrologia una forma di astrolatria, se ne lamenta in una lettera ai rabbini di Provenza del 1194, rimproverando le comunità ebraiche del Mediterraneo di praticare diffusamente l’astrologia oraria. [4] Nel  Sepher Yetzirah [1:8] si fa riferimento, oltre che alle dieci Sephiroth che molti cabbalisti considerano in analogia coi pianeti, alle Hayot o ‘creature viventi’ della visione di Ezechiele, che Ibn Ezra considera in analogia coi segni zodiacali. In 2:4, in relazione alle 231 Porte della Conoscenza di cui accennerò subito dopo, è nominata la ruota dello Zodiaco o Galgal e da 4:7 a 4:14 si parla dei sette pianeti. In 5:4 sono citate le 12 costellazioni dell’universo (i cui nomi corrispondono ai 12 segni zodiacali). Inoltre, sempre a partire dal Sepher Yetzirah, con una semplice operazione, che consiste nell’ unire ciascuna delle tre lettere madri alle lettere di ciascun segno zodiacale, è possibile conoscere le caratteristiche di ogni segno. Abbiamo così, unendo la Alef a alle lettere dei tre segni di Aria: Az  z a (Gemelli) che significa ‘allora’, El l a (Bilancia) che è uno dei nomi di Dio, Atz  x a (Acquario) che significa ‘affrettarsi’. Unendo poi la lettera Shin c alle tre lettere dei segni di Fuoco: h c Sheh (Ariete) che è il capo del gregge e il cui valore numerico, 305, forma significative ghematrie: Or Tzach: j x r w a ‘Luce ripulita’ e Orlah  h l r u ‘Prepuzio’. Dall’unione delle lettere corrispondenti agli altri due segni di fuoco abbiamo: f c Shat (Leone) che significa ‘ribelle’ e s c Shas (Sagittario), le cui due lettere rappresentano Shishah Sidrey (‘Sei ordini’), cioè l’abbrevazione dell’intero Talmud e la cui principale ghematria, con valore di 360, è Sikhli ‘intellettuale’  y l k c. L’unione della Mem m con le lettere della triplicità di Acqua forma rispettivamente: \ j Cham (Cancro) che significa ‘caldo’, } m  Min (Scorpione) cioè ‘sesso’ o ‘specie’ e  q m  Mem-Quf (Pesci) radice che indica lo ‘stare in piedi’, il ‘sostenere’. Infine, l’unione della stessa lettera madre, la Mem, con le lettere della triplicità di Terra forma: w m Mu (Toro) cioè il suono onomatopeico dell’animale, y m  Mi (Vergine) che significa ‘Chi?’ e bene indica la curiosità dei nativi di questo segno zodiacale, e ancora: \ u Am Capricorno) che vuol dire ‘popolo’.






[1] Abraham Abulafia (1240-1291?) Cabbalista itinerante, fu in Grecia dove forse subì l’influenza dell’Esicasmo cristiano, in Israele, in Italia, a Capua dove gli fu maestro Rabbi Hillel di Verona, in Catalogna, in Castiglia dove ebbe numerosi e importanti discepoli e, infine, in Sicilia dove, con molta probabilità terminò la sua vita. Famoso il suo tentativo di incontrare il Papa Niccolo III nel 1280 presso il castello Orsini di Soriano, nonostante le minacce papali di rogo. Il Papa che si era rifiutato d’incontrarlo e che lo aveva minacciato di morte, morì all'improvviso.  Abulafia conobbe l’ostilità tanto dell’ambiente ebraico–cabbalistico quanto di quello cristiano. L’ossessione, per così dire, che egli manifesta per l’Uno e per l’Unità (Ichud) lo porta a polemizzare aspramente col concetto cristiano di Trinità, mentre, sul versante cabbalistico, lo induce al conflitto con la cosiddetta Qabbalah delle Sephiroth, di fronte alla quale, sulla scia di Isacco il Cieco, ripropone con forza la Qabbalah del nome di Dio e delle ventidue lettere dell’alfabeto con cui Dio formò il mondo. Abulafia è ritenuto, l’iniziatore di una Qabbalah estatica o profetica. Ma, a parte la considerazione che molti dei temi da lui trattati erano stati già affrontati da Isacco il Cieco e dalla sua scuola, la stessa pratica della concentrazione e della meditazione non era mai venuta meno nella tradizione ebraica. Già la preghiera era sempre stata uno strumento di meditazione (soprattutto L’Amidà e lo Shemà Israel), come pure l'uso di prendere un versetto della Bibbia come oggetto di meditazione, la concentrazione per la conoscenza del sé o hitbonenuth (già utilizzata da Maimonide) che può prendere a riferimento una pietra, una foglia, un fiore, un'idea ecc...ma che ha lo scopo la comprensione di se stessi alla luce degli altri oggetti della manifestazione. Noto era anche l’uso del mantra (Ribbonò shel Olàm, ‘Padrone dell'Universo’, il più importante) per il mantenimento della concentrazione. L’originalità di Abulafia, tuttavia, consiste nell’aver saputo distinguere tra contemplazione semplice e concentrazione capace di condurre sino alla visualizzazione. L’esperienza mistica della visione dei colori ( per esempio, i cinque colori che si sprigionano dal lume di una candela o da una lampada ad olio: biancogiallorosso neroazzurro) è da lui considerata la più semplice tra quelle consentite dalla Qabbalah, ma è di grande importanza perché rappresenta lo stadio iniziale di ogni ulteriore e più complessa visualizzazione. Il valore numerico di Machazeh, visione è 60, con lo stesso valore di: Kli  recipiente (uno dei 72 nomi di Dio), Ganaz nascondere, Hineh  ecco! Halakhah  regola di vita, Gaon  sapiente. In Abulafia è anche frequente la ghematria ha Machazeh (65) la visione con Adonai (65), terzo tra i nomi correnti di Dio, dopo il Tetragramma ed Elohim. La meditazione vera e propria, per Abulafia, è tuttavia quella che si esercita attraverso la contemplazione delle lettere dell’alfabeto, a cominciare dalle tre lettere madri: Alef  Mem  Shin e dal nome di Dio di quattro lettere (Tetragramma), anche ricorrendo alla tecnica della permutazione o temurah. La meditazione sul Tetagramma può cominciare dalla consapevolezza di uno dei suoi significati: la prima lettera, la Yud è la moneta  o la vita, la seconda, la He  è la mano divina che dona la vita, la terza lettera o Waw è il braccio che si tende per donare, la quarta lettera, infine, o seconda He e la mano di chi riceve. Un’altra meditazione raccomandata da Abulafia è quella su Ayn, nulla, alla quale si può accedere fingendo di contemplare ciò che si vede dietro la nostra testa, oppure mettendo in relazione Ayn, nulla con Anì, io. Sulla vita, l’opera, il pensiero cfr. M. Idel, L’Esperienza mistica in Abraham Abulafia, trad.it., Jaca Book, Milano, 1992. Di rilevante interesse su Abulafia anche il IV capitolo di G.G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Il Saggiatore, Mondadori, Milano, 1965, edizioni il melangolo, Genova, 1990. Su Telì e i nodi lunari cfr. A. Kaplan, Sefer Yetzirah, commento, ediz. Spagnola, Edit., Mirach, S.L., Madrid, 1994, pp. 265-274

[2] Setta ebraica di ispirazione ascetica (II sec. A. C – I sec. d.C) che risiedeva a Qumran sulla riva occidentale del Mar Morto. La comunità essenica conosceva una rigida organizzazione sociale e si caratterizzava per gli ideali di purezza con cui cercava di vivere la fede ebraica.

[3] Filone, vissuto tra il 13 a.C e il 54 d.C nell’ambiente ebraico ellenizzante di Alessandria, coglie il significato simbolico della ‘doppia’ migrazione di Abramo: una prima volta dalla Caldea, una seconda da Haràn che significa ‘caverna’. L’uscita dalla Caldea, con riferimento al Genesi, significa l’abbandono dell’astrologia. Infatti – scrive Filone –  “I Caldei, più degli altri popoli, sembrano aver praticato l’astronomia e l’arte di fare oroscopi, connettendo i fenomeni terrestri con quelli atmosferici e i fenomeni celesti con quelli che riguardano la superficie della terra. In tal modo hanno dimostrato attraverso rapporti musicali la perfetta armonia del tutto, in forza del (principio della) comunanza reciproca e della simpatia delle parti, le quali, se risultano separate dal punto di vista spaziale, non lo sono certo dal punto di vista dell'affinità sostanziale. Costoro hanno ipotizzato che il nostro mondo di fenomeni sia il solo essere che è veramente, ossia che esso è Dio, oppure che in sé include Dio, (inteso) come l’anima del tutto. E (per ciò stesso), avendo divinizzato il fato e la necessità, hanno riempito la vita umana di una molteplice empietà, insegnando che al di fuori dei fenomeni non c’è nulla, che non c’è alcuna causa, ma che sono i movimenti del sole, della luna e di tutti gli altri astri a dispensare a ciascuno degli esseri i beni e i loro opposti (…) Né il cosmo, né l’anima del mondo sono Dio in senso eminente; e neanche gli astri e i loro movimenti sono le cause originarie delle vicende umane, ma tutto questo, nella sua totalità, è tenuto insieme dalle Potenze invisibili che l’Artefice ha disteso dagli estremi lembi della terra fino ai confini del cielo, provvedendo saggiamente che esse restassero come legami indissolubili; e, effettivamente, le Potenze sono i legami saldissimi del tutto (…) o gente stravagante, com’è che vi siete così d’improvviso alzati da terra e, sospesi ad altezze strabilianti, al di là del cielo, vagate per l’aria a studiare da vicino i moti del sole, i corsi della luna e le danze armoniose e musicali di tutti gli astri? Queste cose sono più grandi delle vostre menti e la condizione che esse hanno in sorte è certo più felice e divina. Scendete, dunque, dal cielo e, una volta scesi, non tornate ad esaminare la terra, il mare, i fiumi e le specie animali e vegetali. Piuttosto studiate voi stessi e la vostra natura, non abitando in altro luogo che dentro di voi. Esaminando le cose di casa vostra – a quale parte di essa spetta il comando, a quale l’essere sottomessa, qual è la parte animata e quella inanimata, quella razionale e quella irrazionale, la parte mortale e immortale, migliore e peggiore – , subito avrete con chiarezza la scienza di Dio e delle Sue opere.” Cfr.,Filone di Alessandria, De Migrat. Abr., XXXII:178-179 e 181, XXXIII:184-185 Rusconi, Milano, 1988, p.395-396.  La maggiore polemica di Filone è però diretta, nel De Providentia, contro la Genetliologia (anticipazione della cosiddetta astrologia giudiziaria). Più che mai – osserva Filone –  il giudizio degli astri nei confronti dei singoli non si addice al popolo ebraico: la circoncisione, l’osservanza della Legge, lo Shabbat, l’alimentazione kasher e tanto altro ancora sono la scelta comune di tutto un popolo, come ciò – egli si domanda – può interferire con i differenti destini individuali proposti dalle tecniche genetliologiche? Un medievalista insigne come Emile Bréhier osserva, tuttavia, che Filone tratta l’astrologia con molta benevolenza tanto da sembrare di averla addirittura praticata lui stesso e un altro studioso, il Wendland, sottolinea l’interesse di Filone per l’astrologia allorché si tratta di interpretare le undici stelle del sogno di Giuseppe in analogia con altrettanti segni zodiacali e del dodicesimo (cioè il segno dei Pesci) simbolicamente rappresentato dallo stesso Giuseppe. La verità è che Filone nega agli astri di essere ‘cause prime’ ma gli riconosce il merito, in quanto opera di Dio, di fungere da segnali dotati di quel certo potere che Dio stesso gli ha concesso. E’ abbastanza comprensibile che la concezione degli astri come segni della volontà di Dio abbia poi avuto fortuna in ambiente cristiano e talora goduto di più di un apprezzamento  anche tra i maghi-filosofi del Rinascimento.

[4] Cfr., J. Halbronn, Le mond juif et l’astrologie, ed., originale francese, Arché, Milano, 1985, pp.237 e ss.

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