domenica 22 dicembre 2013

CAMBIARE... PERCHE' TUTTO RESTI COME PRIMA




 L’elezione di Matteo Renzi alla guida del Partito Democratico aveva suscitato anche nei più scettici una speranza di cambiamento, forse l’ultima, considerando la comprensibile diffidenza che circonda gli addetti ai lavori della politica. “Vuoi vedere che dopo decenni e decenni di promesse non mantenute da parte dei politici di centro, di destra e di sinistra – devono essersi detti costoro – è arrivato finalmente qualcuno che riuscirà davvero a cambiare questo Paese?”

 Incalzato dal sindaco di Firenze, persino il governo della "stabilità cimiteriale" ha avuto un sussulto di vita, rilanciando temi e progetti che risalgono al momento del varo del governo “delle larghe intese”. Innanzi tutto l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti e quella delle Province. Per l’occasione, è probabile che il governo abbia organizzato una riflessione collettiva su quel passo del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che chi gestisce il potere in Italia conosce bene, anche senza aver mai letto Il Gattopardo. È l’affermazione celebre di Tancredi Falconieri nipote del principe Fabrizio: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.




    Dal film Il Gattopardo, di Luchino Visconti,Italia,Francia,1963,187 minuti


 A questa filosofia sembra ispirarsi il provvedimento che prevede, non subito, ma per il 2017, la cosiddetta fine del finanziamento pubblico della politica e introduce tutta una serie di “paracaduti” per un “atterraggio” morbido. Non gli è da meno il disegno di legge del ministro renziano Graziano Delrio per l’abolizione delle Province o per meglio dire per la loro trasformazione in Enti Di Area Vasta [sic!], senza personale politico ma con competenze di ripartizione territoriale, trasporti e rete scolastica, con la contemporanea creazione delle cosiddette Città Metropolitane e la proliferazione di organismi decisionali ovvero di nuovi carrozzoni della politica.

 Per la verità, Letta e i suoi ministri non avrebbero avuto bisogno di tornare a meditare sulle massime gattopardesche, dopo il saggio fornito con la legge di stabilità che non solo reintroduce in via definitiva l’IMU sulla prima casa, ma per giunta l’aumenta, cambiandogli nome. Consiglio dei ministri che, approfittando che le larghe intese si siano ridotte all’appoggio incondizionato di giganti della politica come Alfano, Lupi e Quagliarello, arriva addirittura a ripristinare la seconda rata dell’IMU prima casa per il 2013, con motivazioni risibili e localistiche che poco interessano agli italiani vessati dalle tasse. Bontà sua, per non danneggiare i consumi innescati dalle tredicesime mensilità, il governo ne fa slittare il pagamento alla seconda metà di Gennaio, in coincidenza con l’arrivo delle bollette di gas, luce ecc… e quando le tasche degli italiani saranno più vuote di sempre. 

 Insomma, che da questo governo non ci si potesse aspettare di più e di meglio era scontato, quel che turba gli scettici, che pure avevano sperato nel cambiamento, è che i provvedimenti sul finanziamento dei partiti e sulle province abbiano il placet di Renzi, l’uomo spacciato per il nuovo e il carismatico della politica italiana. C’è chi dice che al momento è già tanto vararli così come sono stati concepiti, perché le forze della conservazione dei privilegi sarebbero all’opera per snaturarli ulteriormente e/o ritardarne l’approvazione e, infatti, se il disegno di legge sulle province non venisse approvato entro la fine dell’anno, scatterebbe automaticamente la procedura per l’elezione dei nuovi consigli provinciali.

 C’è di più e di peggio: la sensazione che Renzi sia la faccia sorridente del PARTITO DELLE TASSE, sempre all’opera nella sinistra o pseudosinistra italiana. Non è un caso che Filippo Taddei, il giovane studioso di economia entrato di recente, come responsabile per l’economia, nella squadra del neo segretario del PD, abbia vagheggiato in un suo intervento televisivo una patrimoniale per ridurre le tasse dei redditi sino a 26.000 Euro lordi. Parliamo di circa 1400 Euro netti al mese! Servirebbe questo a rilanciare i consumi? È incredibile che a teorizzarlo sia un economista o un aspirante tale! Senza contare il riferimento a provvedimenti che dovrebbero ridisegnare il rapporto tra sistema retributivo e contributivo delle pensioni già in essere, con il risultato di spaventare la gente. Se davvero si vuole intervenire su questo versante perché non parlare più semplicemente di un tetto ragionevole per le pensioni, per gli stipendi e le liquidazioni dei manager, degli eletti della politica e delle cariche istituzionali? In questi giorni qualcuno ha avuto il coraggio di chiedere all’Assemblea Regionale Siciliana l’aumento dello stipendio dei consiglieri che attualmente è di circa 12.000 Euro netti mensili. In queste ore la Camera ha abolito i tagli già annunciati degli stipendi degli onorevoli!

 E che dire del Job Act, il progetto di Filippo Taddei a denominazione anglofona per mascherare la pochezza di un provvedimento che dovrebbe rilanciare il lavoro? E non entro nel merito della cessazione del cosiddetto “bicameralismo perfetto” con l’abolizione del Senato. Per quanto lo sforzo di Renzi in questa direzione sembri autentico, temo che dovrà aspettare a lungo prima di veder realizzato il sogno.

 Il fatto è che questo è il Paese delle lobby, delle corporazioni delle arti, dei mestieri, della politica e dei sindacati, che neppure Monti ha voluto o potuto toccare [si veda in questo blog, il post Corporazioni di tutta Italia unitevi]. Persino Letta, prima di diventare capo di governo, aveva fatto una proposta decente quando, in una puntata di “Porta a Porta”, aveva lanciato l’idea dei controlli incrociati delle fatture di datori e fruitori di servizi e prestazioni professionali, al doppio scopo di colpire l’evasione fiscale e diminuire la pressione delle tasse attraverso le detrazioni [si veda il post Dopo la stangata]. Se ne è saputo più nulla? Le tante corporazioni non permetterebbero mai l’introduzione di un provvedimento del genere! E guardate cosa avviene nella Giustizia. Si parla di amnistia. Ne parlano anche il presidente Napolitano e la ministra Cancellieri, Pannella continua imperterrito con i suoi scioperi della fame e della sete, ma nessuno dice che l’unico provvedimento che, almeno temporaneamente, potrebbe risolvere il sovraffollamento carcerario, è l’abolizione della detenzione in attesa di giudizio, fatti salvi i casi degli imputati per i reati più gravi e socialmente pericolosi [si veda il post Le intercettazioni utili].

 E se dalle questioni nazionali, si scende a quelle locali, la storia non cambia e si tocca con mano il peso che le corporazioni hanno in questo infelice Paese. L’Atac, che a Roma si occupa del trasporto pubblico, avrebbe un mezzo semplicissimo per attenuare l’ingente debito che prima o poi farà scoppiare un caso simile a quello recente di Genova: far pagare il biglietto ai passeggeri. Come? Con l’obbligo, come in tutte le più importanti capitali europee, che chi sale su un autobus o su un tram mostri il biglietto al conducente o gli consegni l’equivalente in denaro [vedi il post Pubblico e Privato]. Impresa ardua e mai concepita, basti vedere con quali criteri vengono costruiti i mezzi di trasporto che circolano nella capitale e immaginare quale sarebbe la risposta del sindacato di settore di fronte a una proposta del genere.

 Resta l’auspicio che qualche buona intenzione di Renzi sia coronata da successo. Ne dubito, però, e purtroppo i fatti recenti mostrano che presto il sindaco di Firenze si rassegnerà a camminare sulla strada della politica già additata dal famoso personaggio del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Esattamente come tutti quelli che l’hanno preceduto al governo o alla guida dei partiti, anche se con minori proclami. Almeno di non voler rischiare il potere conquistato di recente.

sergio magaldi








 


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